giovedì 23 dicembre 2010

blood is over


Buon Natale! Già che siamo in argomento parliamo di un film de paura? Perché ho un po' di arretrati del tff e vorrai mica che me li dimentichi? Non so se ve l'ho già raccontato, ma mi innamorai del cinema di Ji-woon Kim assolutamente per caso, una di quelle volte (cioè quasi sempre) che dal mio divuddaro preferito non sapevo cosa noleggiare. C'era lì Two sisters che mi faceva l'occhiolino, me l'ero perso al cinema e, aspettandomi un grand guignol che farebbe la felicità di Filippo, decisi che sarebbe stato mio. A dispetto del trailer e del manifesto, quel film non era per nulla horror, in compenso era un eccellente thriller psicologico. Così successivamente ho visto A bittersweet life, ho scaricato felicemente The good, the bad, the weird e mi sono fiondato a vedere I saw the devil in quel di Torino. Avevo letto di robe molto, troppo sanguinolente. Non so, ma amo Dexter e sono cresciuto a Bava, Argento e Fulci mandati a rotazione dalle tv libere (ma libere veramente, per citare il Poeta), quindi per me la cosa più schifosa che si vede in questo film è il serial killer che ravana nelle proprie feci per recuperare la microspia che il buono (?) gli ha fatto ingoiare. Se devo trovare un difetto a questo gioiellino è la durata: due ore e venti sono troppe. Però porcazzozza se ne vale la pena! Uscirà in Italia? Almeno ad agosto? Almeno in dvd? Quizas, quizas, quizas.

Titolo originale: Akmareul boatda
Titolo italiano auspicabile: Ho visto il diavolo
Titoli italiani probabili: I saw the devil, Saw: The devil

mercoledì 22 dicembre 2010

e io che mi(s)credevo


Buon Natale, cara la mia psycho. L'hai presa bene, devo dire. Niente scene madri e mi hai anche lasciato decidere i termini ultimi. Così da gennaio niente più collage con gli animali alle pareti, niente più quei libri che non saprò che sono, né la valigetta accanto alla scrivania sempre nella medesima angolazione Monk style. E niente più scarpe, ché in questo sei femminissima. Hai mai pensato all'effetto dirompente su un feticista? Mi chiedi cosa penso e te lo direi pure, ma siamo ai saldi, anche se è Natale. Penso che il passaggio sia lo stesso dalla religione all'agnosticismo. Lo sai, lo vuoi quel dio, chiunque esso sia. Nel frattempo trovi la religione. Ma bari quasi subito, a cominciare dalle pugnette saltate in confessionale. Che tanto lo sai che dio lo sa già, e probabilmente sorride. È lo stesso che ti piacerebbe piangesse e ridesse con te, tra sconfitte e vittorie di una vita che cerchi di sceglierti. Magari un pomeriggio d'estate durante un giro in bici pensi che se potessi scopare liberamente ti faresti anche prete (tra qualche anno penserai che tra Lingue e Giornalismo potresti fare Psicologia). E poi d'improvviso restano il meglio del Vangelo e il desiderio segreto di Mission to Mars. A questo punto del racconto aggrotteresti le ciglia, miss psycho. E sorrideresti anche. Perché il senso dell'umorismo, grazie a dio, credo non ti manchi.

martedì 21 dicembre 2010

ogni cosa è offuscata


Avevo amato molto Il giardino di limoni, certo per la conturbante presenza di Hiam Abbass, ma anche perché, da premesse fragiline, era nato oggettivamente un bel film. Di Riklis avevo anche visto La sposa siriana e, insomma, mi aspettavo davvero belle cose da Il responsabile delle risorse umane, peraltro tratto da un romanzo di Yeoshua. E invece questo film vuole essere tante cose e spesso si perde. Da dramma politico a commedia on the road (viene in mente Safran Foer tradotto da Liev Schreiber, ma è meglio non pensarci), passando per il romanzo di formazione (il figlio della vittima) e la critica dei media (il giornalista mammone, stupido, fintoidealista e morboso). Un'occasione smarrita più che persa, perché di momenti buoni ce ne sono non pochi.

domenica 19 dicembre 2010

stroke it


Comincio subito col dire che il titolo del post è quello che avrei risposto al genio che ha proposto il titolo italiano di Made in Dagenham. Dice «Ma era uno dei titoli di lavorazione!»: posto che i titoli di lavorazione solitamente sono dati col culo giusto per riempire uno spazio vuoto quando non si hanno idee precise, ce n'era un altro di titolo di lavorazione, e in italiano suonava come Le ragazze di Dagenham. Carino, no, testadicazzo? Ti fa cacare? Ok, Le ragazze della Ford si capisce meglio? No? E allora ti meriti il titolo italiano segaiolo e vaffanculo. Parliamo di cose serie? Parliamone. Ammetto che sono andato a vedere We want sex soprattutto perché il mio ammmore me ne aveva parlato bene (ché lei dice che non ne capisce ma in realtà non è vero). Ebbene, tornando alla qualità de L'erba di Grace, e mantenendo sempre quel taglio nazionalpopolare anche un po' vecchiotto ma che ti incolla allo schermo né più né meno di una puntata di George e Mildred alla tv, Nigel Cole è riuscito a raccontare senza sbavature (beh, a parte il finale un po' troppo yeppayé) una storia incredibilmente vera e, apparentemente, lontana nel tempo. L'adorabile cofana spampanata di Sally Hawkin potrebbe fruttarle qualche premio, ma il resto della compagnia (Bob Hoskins e Miranda Richardson, giusto per parlare di quelli più noti) non è da meno. Il pubblico intorno, prevalentemente femminile, sembrava stare alla protagonista come i ragazzetti a de sica: sognatrici di una vita da donne con le controvagine loro, sognatori i brufolosi di palpare il culo a belen. Entrambi, inutilmente.

mercoledì 15 dicembre 2010

hello, spank


Quello che mi piace di Michael Winterbottom (non si ride dei cognomi altrui, su!) è che è uno dei pochi che difficilmente dirige un film uguale a un altro. L'assassino che è in me (perché un titolo italiano ci sarebbe, quello del libro da cui è tratto, che suona anche tanto bene, ton sur ton con l'ottima ambientazione da noir un po' maledetto anni Cinquanta) è di quelli in cui ci sono giusto quelle quattro scene di violenza quasi prive di effettacci ma che pure ti si piantano sullo stomaco e ci rimangono per un po'. Casey Affleck, fratello minore non scemo di Ben, è perfetto nei panni dello psicopatico, Jessica Alba è inaspettatamente convincente e fica a tutto tondo, Kate Hudson imbrocca finalmente un film dai tempi di Quasi famosi.

martedì 14 dicembre 2010

sangue del tuo sangue


La mattina è fredda e limpida che viene solo voglia di guardarla e basta, ma siamo già in ritardo e il laboratorio di analisi è già pieno di vecchi insonni e gente che non ha voglia di cercare parcheggio proprio come te e me. Ti osservo compiaciuto mentre vai autonoma verso il banco di attesa mentre persone molto più giovani cercano appoggio, forse conforto, di sicuro qualcuno a cui delegare qualcosa. Anche alle sette e mezza del mattino, comunque, la cafoneria è già sveglia: c'è una coppia che si somiglia in tutto, anche nell'ostinarsi a non chiudere la porta. Il computer va in tilt, nessuno si lagna, qualcuno va via abbandonando il bigliettino del turno in bilico sugli altri. L'unico che si incazza (a parte me, ovvio) è un cinquantenne che sembra un vecchio sketch di aldogiovanniegiacomo. Magari vota lega, ma è empatia immediata. Il computer riparte, siamo fuori alle otto e dieci. Colazione. La mattina è un po' meno fredda, un po' più limpida.

lunedì 13 dicembre 2010

milano vs. milano


«Non ti preoccupare: stando a mia madre, più che la passione conta l'abitudine»
(Porco rosso, Hayao Miyazaki)

Il prossimo che parla di crisi, giuro gli spacco la faccia. L'opulenza non è solo di facciata, non sono solo l'orrendo capannone in cui si vendono brutti vestiti con su scritto Milano o Tiffany che vende di fronte al Duomo i gioielli che costano meno (meno di quanto?). È la folla che li riempie che impressiona. E riempie tutti i negozi, anche quelli strafichi. Anche Abercrombie, ma lì gioca l'ormone e di fronte all'ormone posso solo comprendere e sorridere. Per non parlare della morte del brusio, del trionfale squallore di canzoni napoletane malcantate, zampogne e techno contro cui non regge nessuna protezione ipod, un soffocante casino che dà al tutto una confezione da immensa sagra paesana di lusso. E allora meglio infilarsi all'Apollo per vedere la Milano più o meno reinventata, quella in cui sui Navigli si navigava e non grazie al wi-fi. Porco rosso (sia benedetta la Lucky Red per l'opera benemerita, seppure tardiva, di diffusione dei film di Hayao Miyazaki) non è un film per bambini. O perlomeno, non per i bambini di oggi. Portateci i bambini che eravate: semplice eppure imprevedibile, divertente, appassionante, con quel tocco sentimentale mai sputtanato o dolciastro, di sicuro vi piacerà.

venerdì 10 dicembre 2010

ma tu chi sei?


Il Pelaverga è quasi finito, ho mangiato quasi tutto e pure tu, tu che parli poco, intanto butti lì domande e mi ascolti. Io, di mio, butto risposte, ci guardo e mi ascolto. Ma quante cose ti ho detto? Domani finirò su wikileaks? Però è carino che mi concedi le tue storielle di ventenne con la sorella del tipo di cui sbaglio sempre il cognome scambiandolo per quello del noto attore porno. Sei il mio primo pranzo di lavoro a due. Detto tra noi, fosse per me t'avrei portato da Beppe.

giovedì 9 dicembre 2010

basta che non funzioni


Porca pupazza, Woody Allen: anche con un film riuscito poco riesce a farti pensare. Si sarà detto «Li ho fatti sognare con Basta che funzioni, mò so' cazzi». Infatti, se il gran bel film precedente rappresentava la vita come dovrebbe essere, scevra da moralismi, psicanalisi, religione e altre gabbie del cazzo, Incontrerai uno straniero alto e bruno è pessimisticamente la vita come gira nella sua media mediocrità: una illusione schiacciata dalle dipendenze (alcool e fattucchiere in primis ma c'è di tutto, mancano all'appello giusto cocaina e cellulari), costretta dalle istituzioni fittizie (il matrimonio, i figli), soffocata dalla paura della morte e della inutilità. Un film in cui non è un paradosso se l'unica a rimanere a galla, alla fine, è la vecchia (una grande Gemma Jones), rincoglionita a colpi di whisky e occultismo. In cui è vero che alle donne sono affidate le battute più orribili (da Naomi Watts che ha “bisogno” di avere un bambino all'attacco isterico della sorella dello sposo abbandonato alla Jones felice della reincarnazione perché così vivremo una vita diversa), ma in cui sono gli uomini che si comportano – quando va bene - da inadeguati deficienti. Altro che il diabete promesso dal titolo italiano (a proposito: titolisti, sucate forte!). Si esce disorientati e con una strana roba sulla bocca dello stomaco, ma almeno si ha la conferma di dove è meglio stare: dalle parti di Boris Yellnikoff.

martedì 7 dicembre 2010

paura e delirio a los angeles


Gli australiani sono gente strana. Tipo, si sono rifiutati di proiettare L.A. zombie perché secondo loro inneggia alla necrofilia. Certo, vedo un morto che scopa uno vivo e subito mi fiondo al cimitero sperando che mi s'inculino. Ma mi facciano il piacere! Non sarà che se a scopare c'erano zombie etero il film non disturbava nessuno? Vabbè, comunque il film è passato in concorso a Locarno in versione soft, è approdato al Torino Film Festival nella sua interezza, e ieri (mica stiamo qui a pettinare le bambole, siamo sul pezzo noi!) è uscito in vendita in Italia in cofanetto con un altro dvd del medesimo regista, Bruce LaBruce. Che quando lo pronunci, bruslabrus, ti viene voglia di dieresi tanto sembra piemontese o lombardo. Vabbè, comunque io l'ho visto la scorsa settimana in quel di Torino, preceduto da un cortometraggio, Triviality di Sterling Ruby, che, se fosse durato la metà (quattro minuti e mezzo) sarebbe stato cinico e divertente al punto giusto. Fil rouge tra corto e lungometraggio, la presenza di François Sagat, marcantonio protagonista dei porno gay più tosti. Nel piccolo film, mentre la voce del regista ripete all'infinito quanto siano volgari i violenti, il povero Sagat cerca di farsi venire un'erezione: immaginavo al suo posto Trentalance o Rocco; non so se avrebbero accettato, non so neanche se sarebbero riusciti a non farselo venire duro. Comunque, arriviamo a L.A. zombie. Che è la storia di un senzatetto solo e sgarrupato che immagina di essere un morto vivente. Solo che invece di uccidere, lui riporta alla vita, scopandoselo, chiunque muoia o gli venga ucciso sotto gli occhi. Metafore scoperte a go go, cazzo a forma di pantofola persiana, musiche porno, campionario trash come se piovesse, eppure, con tutti i difetti del caso, resta una creatura strana e affascinante. E non mi riferisco a Sagat, che a me, specie senza trucco, mette paura.

domenica 5 dicembre 2010

tutto quello che non vorreste sapere sul tff
e non ve ne frega niente di chiedere


Bellocchio è uguale. La Bobulova, idem. Sanguineti minchia quanto invecchia di anno in anno. Basta durante un festival dire di spegnere i cellulari, dovrebbe essere come dire «pregate» in chiesa. Gli schermi degli smartphone come le candele della pubblicità natalizia di coca cola (vi venisse una botta d'acido tutte le volte, bastardi!). L'ipod protezione 20 a difesa delle mie povere orecchie a coprire strafalcioni e discorsi da treno durante le file. Le code ai bagni maschili più lunghe che in quelli femminili. L'isteria dei deficienti che non hanno letto le istruzioni per fare i biglietti. Perché piaccio così tanto agli ambulanti extracomunitari? Winter's bone (ne scriverò, datemi tempo) ha vinto, così come la sua protagonista. Per una volta sono assolutamente d'accordo con la giuria. E son 300 post, giovani, forti e ve li potete rileggere, se volete.

venerdì 3 dicembre 2010

sticazzi, lo dice anna freud


Secondo me, Gianni Amelio si è divertito. Voglio dire, ti capita proprio come l'anno scorso (a proposito, il film sull'adolescenza di John Lennon, Nowhere boy, esce oggi. andate! ancora lì? macheccazzo!) un film diretto da una donna e interpretato da Kristin Scott Thomas, vuoi non fargli inaugurare il Torino Film Festival in modo da garantirti uno spunto per il discorso di apertura? Perché di Contre toi ha già detto bene poison-fiorellino (a proposito, la raccontiamo 'sta cosa del fiorellino?): a leggere la trama sembrava una lamata senza fine, in realtà non è brutto, ma da questo a farle aprire un festival ne corre. Inoltre, sempre come poison dixit, se Pio Marmaï non avesse avuto la faccia di Pio Marmaï, col cazzo che Kristin Scott Thomas (peraltro ancora gnocca di tutto rispetto) avrebbe avuto la sindrome di Stoccolma! Tirando le somme, la cosa migliore del film è un finale che prova a essere inaspettato. Che proprio poco non è, specie quando la storia sa un po' di deja-vu.

Titolo originale: Contre toi
Titolo italiano auspicabile: Contro di te
Titoli italiani probabili: Contre toi, Contro una donna, Uomo contro donna, Una donna contro, Dentro una donna

giovedì 2 dicembre 2010

an unfitman in new york


C'è un premio delusione al Torino Film Festival? No, peccato, lo vincerebbe l'opera prima di Philip Seymour Hoffman. Che come attore è quasi sempre da chapeau. Che con quella faccia un po' da Brando anni Settanta, un po' da Orson Welles de noantri, spacca sempre in quasi qualsiasi film. Eppure il suo Jack goes boating sembra un Woody Allen girato con la mano sinistra. Bella colonna sonora, buoni interpreti (soprattutto Amy Ryan), ma storiella esile, una commediola sull'ammmore e la sincerità, quella di un uomo abbastanza inadatto al mondo che incontra una donna altrettanto aliena e purché tutto funzioni dà una svolta alla sua vita mentre quella dell'amico e di sua moglie va in frantumi. Nel mezzo, troppa neve, troppa New York. Pochetto, peccato.

Titolo originale: Jack goes boating
Titolo italiano auspicabile: In barca con Jack
Titoli italiani probabili: Io lui lei e Jack, Il mondo di Jack, Jack ti presento Connie

mercoledì 1 dicembre 2010

ciucciami il bassista


- Non è come sembra!
(Suck, Rob Stefaniuk)

Non so se uscirà in Italia, se non sarà ritenuto un po’ troppo intelligente per gli smanettoni di sms del pomeriggio, ma se mai dovesse apparire nelle nostre sale, andate di corsa a vedere Suck. Divertente commedia vampiresca che ha per protagonista una rock band di sfigati (fatta eccezione per la gnoccazza di turno Jessica Paré), è scritto diretto e interpretato dal canadese Rob Stefaniuk e vanta le azzeccate apparizioni di Alice Cooper, Iggy Pop e un Moby da contrappasso incredibilmente autoironico (fa un metallaro che lancia carne cruda al pubblico, un po’ come se cota facesse il politico colto e intelligente). La colonna sonora è piacevole, il finale, ancorché prevedibile, è ben congegnato.

Titolo originale: Suck
Titolo italiano auspicabile: Succhiami
Titoli italiani probabili: Suck - Una band al sangue, Rock vampires, Suck - Rock al primo morso

martedì 30 novembre 2010

la fine del mondo nel nostro (in)solito letto


- Stai scherzando? Ho avuto esami pelvici che sono durati più a lungo!
(Kaboom, Gregg Araki)

Scrivo dal Torino Film Festival. Lontano dal lavoro (a parte stanotte, vabbè, ma non conta). Vivendo di cinema  e poco altro. Poco cibo, poco alcool, giusto un toscanello al giorno. E faccio la scorta di post per l'inverno, ché se cade lo psiconano di che cazzo parliamo? A proposito, cosa succede in quello che ci ostiniamo a chiamare mondo reale? Io non so praticamente nulla delle beghe di palazzo, posso vantarmene? Mi spiace solo tanto per il padre del mio amico R., per Leslie Nielsen, e soprattutto per quel monumentale pezzo di cinema italiano che è Mario Monicelli. Addio vecchio rompicoglioni, ultimo gigante in questo paese di nani. Bon, parliamo di festival. Non comincio dal primo che ho visto (ci sarà tempo), ma da quello che mi ha divertito di più. E ragazzi, parliamo di Gregg Araki, quello che fa film su ragazzini bisex (molto maggiorenni, in realtà) che scopano, hanno un rapporto un po' troppo allegro con le droghe e vivono storie assurde. Kaboom non fa eccezione, ma ha una leggerezza e un'ironia che in altre occasioni è mancata. Un'operetta pop e lisergica, in cui tutto il cast fa sangue, alcune battute sono spettacolari, il personaggio del padre è geniale. A quanto pare arriverà in Italia a gennaio e, a questo proposito, a partire da questo post inauguro la rubrica "come dovrebbe essere, come probabilmente sarà", dedicata all'annosa questione dei titoli italiani. La rubrica, naturalmente, è aperta alla vostra collaborazione.

Titolo originale: Kaboom
Titolo italiano auspicabile: Kaboom
Titoli italiani probabili: Ecstasy end of the world, Maial College 2: la cospirazione, Conspiracy movie, Pupe spie e porcelloni

mercoledì 24 novembre 2010

minuscoli (im)moralismi


Secondo un regio decreto di nostra signora rai, i minorenni non possono andare in tv dopo mezzanotte: infatti devono essere liberi di riposare prima di fare pompini al nano di turno durante l'afterhour. Ah, dopo l'incautissimo paragone bacio-clerici, aldo grasso mi è precipitato dal cuore. Spero si sia fatto male.

martedì 23 novembre 2010

dell'utilità di fb (parte seconda)


Soddisfare l'esibizionismo.

lunedì 22 novembre 2010

le conseguenze dell'amore (paterno)


ms: Sai che pensavo?
Dantès: Dimmi.
ms: Che quello che fa il figlio somiglia alla foto di Filippo.
Dantès: Ci ho pensato anch'io.

Ansia. Angoscia. Ansia. Sì, non c'è che dire, Una vita tranquilla funziona bene. Certo Toni Servillo ci mette il carico, ma è anche merito del ritmo della storia e di una buona sceneggiatura se esci che hai ancora il film addosso, una specie di peperonata dell'anima che ti resta lì, sulla bocca dello stomaco che un po' dici «ma chi cazzo me l'ha fatto fare?», un po' pensi che era proprio buona. A corredo di tutto, la bella colonna sonora di Teho Teardo, ormai cinematograficamente in ogni luogo come neanche il Morricone dei tempi che furono.

mercoledì 17 novembre 2010

citizen zuckerberg


«Mia figlia studia letteratura francese, una materia che credevo non esistesse»
(The social network, David Fincher)

Lo ammetto: il principale motivo per cui sono andato a vedere The social network è David Fincher, regista che difficilmente delude, anche quando i copioni non sono proprio di prima mano. Beh, ho fatto bene. Raccontare la storia del fondatore di facebook era materia rischiosa e troppo recente: c'è riuscito. Merito certo delle impagabili espressioni di Jesse Eisenberg (abbiamo rischiato di vedere in quel ruolo Shia Labeouf, rendiamoci conto), ma soprattutto della solida sceneggiatura di Aaron Sorkin, che va ben oltre la cronaca (perlopiù giudiziaria) o il giudizio su fb: incorniciata da un inizio e una fine da manuale, è molto più di una storia, è una parabola di ampio respiro raccontata con una incisività, un'arguzia e un sense of humour davvero rari. Unico neo Justin Timberlake: vederlo scheccheggiare nei panni del tossico puttaniere stronzo inventore di napster è piuttosto insopportabile.

martedì 16 novembre 2010

la parola all'esperto


«Vieni via con me? Settarismo e mediocrità»
(fabrizio cicchitto)

domenica 14 novembre 2010

onda calabra


Primavera al caffè. Belle persone nonostante appartengano alla mia generazione. Giovani pance consapevoli pronte a trasformarsi in pupi inconsapevoli. «Mi spiace. Devo campare» a tracolla di qualcuno che silenziosamente chiede l'elemosina. «Si avvisa la gentile clientela che i cellulari esposti in vetrina sono finti» espone un negozio di quelli che stanno intorno a te. Piccoli pezzi che vanno ad aggiungersi a una regione che continua a essere un puzzle senza risposta. Come quando un amore finiva prima di nascere per dubbi e incertezze scambiati per distanze geografiche che sembravano insormontabili. Come quando mio padre mi raccontava i suoi trent'anni qui e io immaginavo che un giorno ci avremmo fatto un viaggio insieme.

giovedì 11 novembre 2010

liaisons dangereuses


Ti ricordi? Ti ricordi quei tempi in cui se eri una donna non potevi mai ambire a nessuna carica importante a meno di non darla a qualcuno? Eh, gli anni Settanta! Ozon è uno che si diverte, non c'è che dire. A volte si diverte da solo, a volte, come nel caso di Potiche (cazzo, hanno messo un sottotitolo che è la traduzione italiana perfetta! non ci posso credere...) fa divertire anche il pubblico. La Deneuve addobbata un po' da madaminchia un po' da Ombretta Colli è perfetta, Luchini idem, Depardieu vive un po' di rendita ma quando balla è un trionfo. E noi? Noi facciamo finta che.

mercoledì 10 novembre 2010

e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione


- Diceva cose tremende, diceva che devo morire...
- È la prima volta che sono d'accordo con un uomo di potere.
(Figli delle stelle, Lucio Pellegrini)

C'è una scena salvatoregna a un certo punto del film di Pellegrini, ed è quella in cui, frugando tra i vecchi dischi dello chalet di montagna, Favino mette su il 45 giri di Alan Sorrenti. Scena pericolosissima, ché ci voleva niente a renderla patetica oltre che già vista. Incredibilmente non lo è, guardare per credere. Anzi, è forse la più triste e la più cruda. Quella che smorza le risate fatte fino a due minuti prima. E che passa in rassegna come ai raggi x quella che fino a quel momento era solo una buona, fedele foto di gruppo di un paese post tutto, forse anche post psiconano, comunque ferito negli affetti, tutti. Figli delle stelle punta alto ma non ci riesce. Eppure è figlio sano e discretamente forte della nostra migliore commedia di costume. Di questi tempi, buttala via...

martedì 9 novembre 2010

i maghi (non) esistono


Appagato. Commosso. Avvinghiato come un koala al suo albero a un'idea di cinema grande e forte che non conosce barriera di tempo, mezzi, età. Arriva. L'illusionista è un film bellissimo, che racconta tante, troppe cose da riunire in un post. C'è più cinema in questo cartoon che in molti degli ultimi film in carne e ossa che ho visto. Sylvain Chomet è un genio: se con Appuntamento a Belleville lo sospettavo, adesso ne ho la certezza. Se esiste un paradiso o qualcosa del genere, Tati ringrazia. Portateci i vostri figli solo se sono abituati a pensare e non amano l'happy end a tutti i costi: altrimenti, si annoieranno.
 
 

domenica 7 novembre 2010

quadri da un'esposizione


Ruby dice che dal piccolo marchettaro si mangiava male. Eh, tesoro caro, bastava chiedere in giro. Io, per esempio, lo sapevo già. No, non me lo sono scopato, preferirei tagliarmi il pisello, ma per motivi di lavoro ho assistito al primo (e peraltro unico) congresso di forza italia una quindicina di anni fa: un catering pietoso. Tanto che l'altra sera, ad Artissima, ho avuto un déjà vu: si è mai visto il rinfresco di un vernissage a pagamento (e che pagamento, per due tartine, un pezzo di salame e tre vinelli a scelta che con la bustina venivano meglio!) senza scuse plausibili tipo beneficenza o simili? Dice «c'è la crisi». Ma non era meglio allora mandare inviti più mirati invece di far entrare all'Oval qualche migliaio di imbucati di vario ordine e grado? Vabbè, comunque anche quest'anno ho fatto la mia porca figura: sebbene avessi lasciato a casa i jeans strappati, l'omino dello stand negoziostraficoditorino mi ha scambiato per il solito ricco snob e decadente, abbiamo parlato di Bruno Munari e mi ha invitato a un'inaugurazione. Dico «Oh peccato, questo sabato non ci sarò. Ma la mostra quanto dura?». «Solo sabato» mi risponde serafico il giovane omino. «Allora che cazzo inaugurate?» vorrei chiedere ma mi trattengo perché intanto mi appare il nuovo libro di Safran Foer, una strana creatura con le pagine ritagliate che sembra uscita dalla mente di Munari. Decido che lo voglio, insieme ai coloratissimi, divertenti trans di Assume Vivid Astro Focus (porcocazzo, qui ci stava tanto bene una foto, ma non la trovo) che tanto devono a Otto Dix. Il post finirebbe qui ma, ora che ci penso, avevo promesso al mio ammmore che avrei parlato di tette. Oh sì, ce n'erano tante in bella mostra. D'altra parte era o non era un'esposizione? Morbide e sospese, fasciate in reggitette di pizzo sotto abiti più o meno scollati, vere e gonfiate, veniva praticamente voglia di provarle più o meno tutte. Ma sai che ti dico? Io voglio le tue.

giovedì 4 novembre 2010

les visiteurs


Un padre, due figli. Stesso stampo, tre caratteri diversi, colti in un attimo, un gesto. L’uomo anziano porta un cappotto che pesa come i suoi anni, solido come un grasso soldatino sulla sua base di piombo affronta la scala mobile senza un verso, una piega, uno sforzo, nanca un plissé. Dietro, il figlio minore, che poi sembra il maggiore, magari sono gemelli, che puoi sapere, cinquant’anni sicuro. Ricurvo, ondeggia con le mani nelle tasche, il fisico e l’espressione di un pugile che ne ha prese troppe. Finge nonchalance ma s’inciampa e s’accartoccia di paura non appena sale. Quasi di fianco, bastardo come Franti, il fratellone appoggiato di schiena al mancorrente ridacchia con aria da viveur, poi si decide a dargli una mano e a rassicurarlo. Arrivano in cima, si allontanano verso il nulla. Forse non sono mai esistiti, forse sono come gli alieni di Ecstasy generation, visibili solo ai miei occhi per dire chissà cosa, chissà perché.

mercoledì 3 novembre 2010

se avessi fatto economia avrei una laurea o dei soldi da parte?


Nel 1987 avevo 18 anni, Oliver Stone non aveva ancora fatto Talk radio e JFK, e gli unici buoni motivi per vedere Wall Street potevano ragionevolmente essere Sean Young e Daryl Hannah nella speranza che, anche fugacemente, apparissero nude. Per quel che ricordo, la speranza naufragò miseramente e io mi annoiai. Per questo, prima di gettarmi sul sequel, avrei tanto voluto rivedere l'antefatto con gli occhi del magnifico quarantenne che sono diventato. Ahimè, però, il tempo (soprattutto quello meteorologico) è tiranno e così l'altro giorno, senza ripasso, mi sono infilato nel cinema più vicino. Beh, Gordon Gekko è invecchiato più di me, e il film, che si perde in un melenso finale hollywoodiano che non vi racconterò ma che capirete dopo il primo quarto d'ora, ruota tutto intorno a questo assunto: Gekko, che pure si aggiorna e perde il pelo ma non il vizio, in confronto agli speculatori di oggi è una mammoletta, uno che chissà come qualche principio riesce ancora a recuperarlo in qualche meandro della propria coscienza. Mah. La partecipazione di uno strepitoso Eli Wallach (ma quanti anni ha?) e il leit motiv delle bolle danno una marcia in più al film, ma il tutto è troppo tagliato con l'accetta, Shia LaBeouf è simpatico come un brufolo sul culo (molto meglio il rapido cameo dell'imbolsito Charlie Sheen) e Carey Mulligan sogna inutilmente di essere Audrey Hepburn.

martedì 2 novembre 2010

questione di accenti


Dopo pranzo siamo ad appena un terzo e per un attimo penso «Non ce la farò». E invece sì e ne sarò entusiasta. D'altra parte cosa potrebbe esserci di meglio (sì, ok, a parte scopare)? Sono con la persona che amo e con cui sto condividendo questa cosa che pochi altri avrebbero voluto condividere. E non sta lì per farmi un piacere, ma perché ne ha voglia. Otto ore di spettacolo, una storia che come ogni grande romanzo dell'Ottocento racchiude tutte le storie, dodici ore in compagnia di 26 attori e 200 persone consapevoli, che in mensa, un po' refettorio scolastico (che poi quello è), un po' La parola ai giurati, parlano - senza nominarla - della morte della cultura. Qui non c'è posto per i nani psicopatici né tanto meno per le ballerine che non hanno mai ballato, qualunque sia la loro età. Ci sono 200 persone che se ne sbattono il cazzo del fatto che I demòni di Peter Stein siano un evento oppure no, per una volta cercano solo il bello: speriamo se ne ricordino anche domani, fra un mese o in cabina elettorale. Io, per questa volta, risparmio loro la mia tirata sul crollo dell'occidente.

giovedì 28 ottobre 2010

pathé de foie gras


Al bar della multisala niente alcolici, solo porcate. Sarebbe interessante sapere se anche nei Pathé francesi è uguale o qui si sono semplicemente adattati ai nostri standard fintofiloamericani.

Una birra por favor, una cerveza a malincuor...

mercoledì 27 ottobre 2010

ci starebbe bene una piramide


Quando in un cinema inaspettatamente pieno sei l’unico a capire una battuta abbastanza facile, pensi ancora una volta che anche per l’impero romano deve essere stato così, forse pure per gli assirobabilonesi o – restando in tema con il film – per l’antico Egitto e, chissà, persino per gli pterodattili. Pensi che le invasioni dei bàbbbari siano state una scusa per scaricarsi le coscienze e che la decadenza non passa per le orge ma per la grettezza e la pigrizia mentale. Detto questo, volevo parlare anche del film, che è Adèle e l’enigma del faraone (titolo italiano – tanto per cambiare fuorviante – di Les aventures extraordinaires d'Adèle Blanc-Sec). Besson non ne azzeccava una da un po’, producendo bruttarelli film d’azione e dirigendo insopportabili cartoon, facendo dimenticare che si tratta pur sempre del regista di Nikita, Il quinto elemento e, soprattutto, Lèon. Qui si diverte e diverte parecchio. Non conosco il fumetto da cui è tratto, ma Adèle si fa gustare. Non aspettatevi chissà che capolavoro, però se ne avete le palle piene di mummie ipertecnologiche e film d’avventura che si prendono drammaticamente sul serio, la cosa vi piacerà. Louise Bourgoin, oltre che discretamente gnocca, è un’impeccabile protagonista.

martedì 26 ottobre 2010

scacatissimo lui


Quando Max Giusti imitava Al Bano mi divertiva proprio. Come attore in Distretto di polizia, lassamo perde', nun se pò fa' a scimmiotta' l'ispettore Belli de li castelli... è stata quasi un'eresia. Dei pacchi so poco, non è il mezzo né la fascia che mi confà. Ora doppia. Dici «chi?» Cattivissimo me. Che ha una parte iniziale fragilina ma piena di citazioni e frecciatine buttate un po' lì ndocojocojo. Poi diventa quasi dickensiano e (puttanaeva) ci si commuove. Che poi uscito dal cinema dici «Ma come? Per così poco?». Sì, per così poco. Peccato. Perché il film traballa e spreca, ti fa passare una piacevole ora e mezza ma, sarà che hai visto troppi cartoni animati geniali, ti lascia un po' così. E, per l'appunto, come se non bastasse, Gru è doppiato da Max Giusti. Ah, i minions somiglieranno un po' agli Oompa Loompa, ma viene voglia di portarseli a casa; e i divertenti titoli di coda che li vedono protagonisti sono l'unica cosa che dà senso alla versione 3D.

martedì 19 ottobre 2010

mark white ha avuto più culo


Ostinato come un mulo (quello che raglia, non quello che scarica) e complici gli orari favorevoli del cinema, sono andato a vedere Buried (che in Italia sarebbe Sepolto, a psiconania no). Ottantatre minuti di film dentro una bara? Mi aspettavo le peggio cose (dici «ma allora che ci sei andato a fare?». aspetta, eccheccazzo, leggi!) e invece tutto sommato... Che dire? Sarebbe stato un eccellente episodio di Ai confini della realtà, invece dura un'ora e mezza. E gli ansimi che durano più di cinque minuti non li sopporto neanche in un porno. Ma ci sono momenti... Per dire, la telefonata di licenziamento e il finale, signora mia... Uh il finale! Non ve lo posso dire, ma vale il prezzo del biglietto.

lunedì 18 ottobre 2010

al centesimo catenaccio


Forse l'ho già raccontato altrove, ma chissenefrega. Mi innamorai di Toni Servillo una sera di sotto Natale di alcuni anni fa, guardando in tv a un'ora improbabile Sabato, domenica e lunedì di Eduardo. Straordinaria commedia sull'amore e l'incomunicabilità (altro che Antonioni!), prova difficile per un attore principale che, tranne alla fine del secondo atto, parla pochissimo. Nonostante l'ora, il vino, la tv, non mi addormentai. Bevevo ogni sorso di quel pezzo di teatro con l'avidità di un alcolista. Da allora ho visto quasi tutto quello che ha fatto. Compreso, in attesa dell'ultimo Martone, Gorbaciof. Che, come Buried, sarebbe un ottimo corto-mediometraggio. Così, è solo un buon film che si regge su una grande interpretazione e un finale inaspettatamente tarantiniano. Quasi cartone animato, vestito sempre uguale, un culo imbarazzante, un po' stefanozecchi un po' Charlot, Servillo è spettacolare. Ancora una volta.

mercoledì 13 ottobre 2010

sì, ma i fiori?


Di là i concerti, di qui il regno dei non luoghi. Aggiro il parcheggio a pagamento infilandomi in quello gratuito del vicino centro commerciale. Quattro passi nell'uggia ed eccoci nell'equivalente milanese uso foresteria delle Vele di Scampia. Lì gli spacciatori, qui gli spacciati. Uffici-banche-uffici-banche-uffici, edifici di cinque piani di cui solo uno o due sono abitati. Adesso non c'è nessuno ma tra un po' li vedrai, giovani zombie incravattati a metà delle loro otto ore quotidiane, alle prese con pasta e verdure strapazzati da un microonde di troppo, Mtv senza volume dagli schermi piatti, il piacere di lavorare in un ambiente così triste. Piccola città bastardo posto in cui non manca neanche un tristanzuolo asilo nido. C'è tutto. C'è così tutto che non mi stupirei se passassero lì anche la notte. Anche perché, ad arrivare in centro, se non hai la macchina ci va quasi un'ora e mezza. Eppure guardali: se potessero non lavorare, probabilmente si impiccherebbero.

lunedì 11 ottobre 2010

se moratti si occupasse di baseball comprerebbe jack clark


- Conosco tuo padre.
- Sì. Anch'io.
(The town, Ben Affleck)

Lacittacheselatira ieri era assediata dai turisti momemagnortartufo: considerata l'impossibilità di parcheggio e la mia proverbiale pazienza zero, con la coda tra le gambe la mia visione di Avati è stata rimandata a data da destinarsi. Tornando nel bdcdP ho così ripiegato sul film di Ben Affleck che, come attore è la mezzasega che sappiamo, ma come regista aveva dato soddisfazioni con un film che ingiustamente, almeno in Italia non s'era filato nessuno: Gone baby gone. Com'è quest'opera seconda? Se non fosse per il finale buonista e per l'edizione italiana che non brilla né per doppiaggio né per traduzione (ci si è persi per strada un congiuntivo e CSI Miami non si chiama Miami CSI neanche negli Usa), sono due ore discretamente ben spese tra azione, ironia e denuncia sociale. Poi ti aspetti che da un momento all'altro Pete Postlethwaite ti chieda «Te piace 'o presepe?» ma (ops, spoiler) non succederà.

venerdì 8 ottobre 2010

solo un bambino


Mentre ti aspetto in macchina, l’occhio cade sulla targa della via. Quella parola proprio non la capisco, di un cattivo gusto annacquante, molto cattolico. Sotto «Nicholas Green» dovrebbe esserci scritto bambino, vittima, innocente, sfortunato, e invece leggo benefattore. Ma un bambino di sette anni non è un benefattore. Un bambino di sette anni ha voglia di giocare, di vivere, di scoprire la vita, non di morire per sbaglio ucciso da un proiettile mafioso di merda. Eppure, benefattore. In un paese geloso anche dei suoi corpi morti, fa ancora notizia la generosità di due genitori nel rendere disponibili gli organi del figlio.

martedì 5 ottobre 2010

secondo me dio si pensa che vi parlate da soli


Lo dico? Lo dico. Per me La pecora nera è uno dei più bei film italiani del 2010. Celestini lo conoscevo di faccia e poco altro, mai visto a teatro (recupererò), spulciato in tv. Un film sul disagio mentale mi faceva pensare a una roba grama. Tratto da uno spettacolo teatrale mi faceva immaginare una regia piatta di una roba grama. Nulla di tutto questo. Perché il film funziona, anche con la voce fuori campo, anche con i flashback continui. Celestini si muove come supermariobros in mezzo a tutti i pericoli di un'opera prima che parla di disagio mentale ed è tratto da uno spettacolo teatrale senza cascarci mai. In sovrapprezzo, parla di cose serissime con il dono della leggerezza. Tirabassi, ha ragione quello lì, è uno su cui si dovrebbe puntare di più.

lunedì 4 ottobre 2010

so now you put your head in your hands, oh no!


Saranno state le troppe aspettative, i troppi abbasso e alè (che invecchiando cominciano a starmi simpatici quanto le emorroidi a grappolo), sarà che amo quasi sempre i film di Christopher Nolan (a parte i vagamente soporiferi Batman), attendevo una specie di miracolo da Inception, miracolo che ahimè non è arrivato. La storia è molto bella, l'idea di partenza – pur non originalissima – è succulenta, ma dopo due ore e mezza cosa resta davvero di questa prolissa costruzione cinematografica? Davvero ci si emoziona ancora per una città che si ripiega su se stessa? E si può reggere per quasi un'ora il triplo svolgimento parallelo senza sbirciare l'orologio e sperare che il furgoncino finalmente caschi in acqua?
P.S.: sono l'unico che quando vede quell'emobietolone di Lukas Haas pensa ancora «Guarda, il bambino di Witness!»?

venerdì 1 ottobre 2010

risparmi

«Pago per le mie idee».
(Maurizio Belpietro, 1/10/2010)


Giancarlo Siani (1959-1985)

mercoledì 29 settembre 2010

’a livella


Pranzo da A., un po’ per lavoro un po’ perché le mie pentole sono ancora prigioniere delle scatole. P. cerca di coinvolgermi con i suoi problemi, io la faccio bere, finiamo per parlare sanamente di cinema. L’occhio cade sulle foto del locale. Bel b/n, ma neanche una dritta. Divertente pensare alle critiche di A. quando appesi i miei quadri in ufficio. Come si cambia per non morire. Io sono rimasto uguale, forse è meglio se mi tocco.

martedì 28 settembre 2010

living in a box


Fischiettare allegramente alle nove del mattino per me è un ossimoro, o forse un mistero degno di Giacobbo. Eppure l’uomo del gas fischietta mentre traffica, smonta, gira, volta, sigilla, «è severamente vietato eccetera». Quando sta per andare via sente la mia titubanza. «Devo…?». Un gesto della mano per dire «Nulla, ci mancherebbe». Chissà se esistono ancora quelli che gli mollano qualche euro di umiliazione («si prenda un caffè»), vorrei chiederglielo ma non capirebbe. In attesa del trasloco, faccio una microspesa e due ciance con la salumaia: scopro con sconcerto che lei e Martamarzotto (la mia nuova padrona di casa) hanno la stessa età. O lei se li porta straordinariamente bene o Martamarzotto se li porta incredibilmente male. Nel dubbio si fa l’ora. Scatole su scatole da casa al furgone, quadri incastrati (incastrati? occazzo), mobili per le scale e sull’ascensore, primo diverbio in casa nuova con vecchio odioso, scatole su scatole in soggiorno. Stracco, provo il divano mentre aspetto inutilmente un ritorno bisex di Luca Benvenuto. Mi addormento clamorosamente, forse anche un po’ sbronzo. Prosit.

domenica 26 settembre 2010

flop of the spot


- Allora seconde te Adele H. sarebbe una sfigata!
- Adele chi?
(La passione, Carlo Mazzacurati)

Diciamolo subito: certi trailer fanno solo male ai film. Metti Pupi Avati: mi rifiuto di pensare che Una sconfinata giovinezza sia una cacata epocale come promette lo spot. Così il film di Mazzacurati, a dispetto della pubblicità, non è un film comico. Non è neanche troppo una commedia. Si ridacchia qua e là, Guzzanti se tenesse sempre il personaggio sarebbe irresistibile con quella voce da doppiatore di Vincent Price, ma la cosa finisce lì. Mazzacurati vorrebbe fare un film sul cinema, su come è cambiato il rapporto tra pubblico e film, tra produttori e registi e attori e film. Ma non tutto funziona. Certo, resta la maschera di Silvio Orlando, la bellissima scena del ristorante cattiva al punto giusto, l'ottima descrizione della sacra rappresentazione, ma l'insieme, purtroppo, è un po' un'occasione mancata.

giovedì 23 settembre 2010

quando c’ho il mal di stomaco (ce l’ho io mica te)


Ho i coglioni sversi da ieri sera per tutto un susseguirsi di cose. Nessuna di grave, se non fosse che si sono presentate tutte insieme. Così, poco fa, solo per aver urlato le mie ragioni in modo colorito (…), mi hanno dato del prepotente e del maleducato. Detto da una collega stronza rompicazzo ficadilegno che pensa di avere sempre ragione e piuttosto che tornare a casa resta in ufficio ad ascoltare la radio in streaming così può anche far finta di lavorare, direi che è un complimento.

martedì 21 settembre 2010

pisellov


Giro per blog e mi accorgo di come sia facile vomitare odio, solitamente per le cose più futili. Vuoi mettere un bell’abbassojuveligaschifomerdabersanipuzza mentre la nave affonda? È forse per questo che stamattina, in un eccesso di gentilezza tale che mi toccherà fare lo stronzo fino al 2030, ho parlato per dieci secondi con un hare krishna. Sì, presente hare krishna hare hare? Ecco. Ero lì che lavoravo e, a un tratto, mi è apparso questo anacronismo vivente. Che dire, mi ha colpito la sua gentilezza. Dici, ma come? in così poco tempo? Sì. Avrei potuto vomitargli addosso il mio agnosticismo (che di per sé, non essendo un dogma, non si può vomitare) e invece l’ho ascoltato per dieci lunghi secondi. Poi, scrollando la testa gli ho detto che non ero per niente interessato. E avevo proprio l’aria di uno che non è per niente interessato, non quella di uno che pensa «ma guarda ’sto piciu».

lunedì 20 settembre 2010

orchilmondo (checiosottipiedi)


A chi è destinato il quarto e ultimo (parrebbe definitivo, a giudicare dai titoli di coda) capitolo di Shrek? Ai bambini o ai genitori? E soprattutto, qual è il messaggio? La mia idea è che sia un film dichiaratamente per adulti (no, Fiona non la fa vedere, sarete mica normali?!?) in cui nessuno si cura che i bambini capiscano certi dialoghi e in cui i problemi matrimoniali dei due orchi ricordano molto certe puntate dei Flinstones. Il lieto fine è d’obbligo senza se e senza ma ovvero, in questo caso, senza molto senso se non quello di appagare una visione della famigghia che farà felice benedettesimo e l’America più reazionaria: perché ok, Shrek capisce cosa si è perso, ma questo è davvero sufficiente a fargli dimenticare la disperazione della routine quotidiana? E siamo sicuri che in questa specie di What if… tutto torni e che gli sceneggiatori non si siano incartati spaziotemporalmente come nel secondo Ritorno al futuro? E perché stracazzo Rumpelstiskin in italiano è diventato Tremotino?

giovedì 16 settembre 2010

let's be fond of each other


Elena, confido in te per la comprensione del titolo, ché l'ho tanto cercato e meditato. Il film è London river di Rachid Bouchareb. Che è un compitino ben fatto, troppo. Uno di quei temi su razzismo e integrazione fra i popoli che a scuola farebbero il botto, ma che a me ha lasciato un po' così. Però, che interpretazioni! Brenda Blethyn, perfetta campagnina, e la buonanima di Sotigui Kouyaté, maschera eccezionale, uno che con gli sguardi dice tutto, anche più di un intero film. Uh, e viene tanta voglia di tornare a Londra. Quella meno turistica, quella che manca ai miei vent'anni.

mercoledì 15 settembre 2010

emergenza emergenze


Smadonno al volante. Dici «sai che novità». Ok, sono un po' nevrotico. Solo un po'. In fondo ho quelle quattro o cinque vite di riserva, sai? Un appuntamento fra un quarto d'ora e poi lei parte alle dieci. Un'eternità, praticamente. Ma mi dico «è questa strada, è la via che porta alla stazione, è sempre così». No, è peggio. È la coda al benzinaio. Opporcocazzo. Vi conosco, non tutti ma vi conosco. Siete quelli che usano la macchina anche per andare a pisciare. Abitate qui, lì, là, nel bdcdP. Complimenti. Complimenti soprattutto perché da un paio d'ore radio, tv e internet hanno dato la notizia che lo sciopero è sospeso: bastava riporre il pisello nell'apposita custodia e chiudere la finestra di youporn, l'avreste scoperto. E invece eccovi qui. Desiderosi, vogliosi di partecipare all'emergenza. Sennò, adesso che il caldo è finito, non ci sono terremoti e forse non si vota, di che cazzo parlate domani davanti alla macchinetta del caffè?

martedì 14 settembre 2010

scendo il cane che lo piscio


«Io non faccio finta di niente, faccio finta di fare finta di niente»
(La solitudine dei numeri primi, Saverio Costanzo)

Certo la definizione di horror dei sentimenti fa tanto salotto da psiconanisti (nel senso di segaioli della mente, al cafone qui non c’entra). E la musica che o pesca dai Goblin o è comunque sopra le righe dà solo fastidio caricando inutilmente una tensione che c’è già. Infine i nuovi torinesi, intesi come i bambini e i ragazzini del film. Che parlano con la cadenza di minchiasabbry, per fortuna non con le stesse parole. Roba da rimpiangere «ti piace la menta?». Eppure lo specchio è fedele: fatevi una vasca in via Roma e ascoltate chi ha meno di 25-30 anni, il dialetto ormai si è imbastardito, interronito, misteriosamente involuto, caso più unico che raro in Italia. Bisognerebbe farci un post a parte, a esserne capaci. Tornando al film, nonostante questi fastidi e nonostante una certa schematicità, a me è piaciuto. Ti mette addosso il giusto malessere che la storia richiede, di quelli che non si scrollano facilmente con una birra o con una doccia. Costanzo ha fatto un ottimo lavoro sugli attori che, cadenza o meno, convincono tutti, anche fisicamente, con la Rohrwacher e la Rossellini una spanna sugli altri.

P.S.: il romanzo non l’ho letto. Non per snobismo, ché la curiosità grazie a dio è più forte: semplicemente non è arrivato il momento, e chissà se arriverà.

giovedì 9 settembre 2010

più poveri e più ricchi ma tutti più imbecilli


La fotografia è lampante, questo rapporto Nielsen commissionato da Coop ce l'abbiamo sotto gli occhi continuamente. Persone che cercano il simbolo dell'euro sulle confezioni ma poi sbavano per il 50 pollici e scai e mediaset e le partite in treddì sprofondati in fondo al loro divano. Persone che fanno le pulci ai figli e poi regalano loro l'iphone, persone che s'impegnano il culo per fingere di vivere, persone che credono di non votare e poi mettono una bella ics al supermercato. E io a volte mi sento stronzo, a volte povero, ma di sicuro mangio bene, in culo alla tecno che, per citare-parafrasare Elio, «è una merda» (ah, il titolo è rubato a Gaber).

mercoledì 8 settembre 2010

il tempo di dormire


Ero lì, con l’occhietto pendulo davanti alla seconda ora abbondante di X factor (ché ciascuno ha le sue perversioni, oh) e a un certo punto mi è tornato in mente il discorso che si faceva qualche settimana fa con i miei bloggamici a proposito della tv di una volta: «bella eh, ma leeenta!». Ecco, direi che adesso è solo lenta (nella foto, l’unico altro motivo per seguire il programma a parte Elio).

martedì 7 settembre 2010

le parole tra noi (l’accento mettilo tu)


Il romanzo che mi hai prestato, le tue sottolineature. In mezzo alla storia, piccola o grande, marcati a matita immagini che ti piacciono, pensieri che sento tuoi. La sensazione di leggere due libri simultaneamente: De Luca, Unfattovéro. Due voci nette che parlano insieme, eppure direi che capisco entrambe. Cerco, forse trovo, le parole che a volte non hai.

lunedì 6 settembre 2010

quello che non sei


Mi scappa, mi scappa, lo dico: Somewhere è davvero un brutto film. Amo Sofia Coppola, ho difeso anche Marie-Antoinette dal coro di certi petulanti gnegnè, ma la sua ultima fatica, contrariamente al titolo, non va da nessuna parte. Gira e gira a vuoto in un trionfo di cliché nonostante qualche bella immagine, nonostante qualche buona trovata, nonostante la bravura di Elle Fanning. La musica, che di solito è la ciliegina sulla torta dei film della Coppola, stavolta è invadente se non insopportabile. E quanto alla parentesi italiana, scusate ma io che eravamo un paese piccolo piccolo lo sapevo già. Mi chiedo se i coinvolti (Ventura, Marini, Frassica) si rendano conto della loro internazionale figura da peracottari: l’unico che fa grande tenerezza è Nichetti, che dal 2000 fa tutto tranne il regista cinematografico e nel film riceve il premio proprio in quanto miglior regista dell’anno. Ma d’altra parte anche Stephen Dorff qui fa la parte di un attore famoso… Vabbè. Ah, o tu uomo che leggi: mi spieghi cosa c’è di erotico nella lapdance? Io credo che mi addormenterei come il protagonista, anche senza l’aiuto di pillole e alcool.

giovedì 2 settembre 2010

fegato fegato spappolato


«Sa che quello che sta bevendo si usa in chirurgia oculistica?»
(Sherlock Holmes, Guy Ritchie)

No, non vi capisco. Io che amo il buon vino e certo, se qualcuno me la offre, non rifiuto una canna. Io che ho avuto sbronze felici e non cercate o infelici e meditate, adatte ad affogare dispiaceri nel vomito, non capisco come fate a bere dalla bottiglia vodka da un euro alle sette di sera. Non capisco il vostro tavernello, per non parlare del «vino del contadino» che ti dipinge la lingua di antiruggine e dopo averlo annusato hai la sensazione che qualcuno ti abbia pulito le pareti del naso col Cif. Non capisco le canne fumate da soli pur stando in gruppo, in 20 secondi netti come un tabagista all’ultimo stadio con le sue Stop. Non capisco voi che dormite sfatti dopo mezz’ora di concerto o sfidando la gravità cercate di raggiungere uno dei venticinque porchettari, tutti uguali birra più birra meno (ma quanti maiali dovrebbero esserci ad Ariccia?). Non capisco la necessità di sturbarvi con qualcos’altro ascoltando musica che, con i suoi ritmi ossessivi, storicamente dovrebbe essere già sufficiente a sturbare. E a dire il vero non capisco lo sturbo per lo sturbo, onestamente preferisco masturbarmi.