giovedì 29 aprile 2010

berghemerd


Cerca l'osceno

mercoledì 28 aprile 2010

la notte dei morti viventi


Uno ha 20 anni e la voce di Tom Waits con l’inflessione e la finezza di Leone di Lernia. Una al cinema masturba la sua collana due poltrone più in là di uno che invece si gingilla con un sacchetto di carta. Una vede complotti anche nella pioggia scrosciante che a malapena ci ha fatto atterrare ma che non ci permette di raggiungere l’aeroporto, un altro pensa che quelli di raianér raccontino balle così, di default, e non sopporta che all’ennesima lamentela del cazzo la hostess se ne vada via mandandolo mentalmente affanculo. Due o tre comprano compulsivamente bibite e panini come se dovessero passare tutta la notte dentro questo cazzo di aereo: pericolo di carestia? Qualcuno ha deciso che la sua valigia ormai l’ha tirata giù e fanculo al mondo, anche se il mondo deve andare a pisciare e la valigia blocca l’ingresso del wc.

martedì 27 aprile 2010

metafisica della computer grafica


E mentre si consumano crimini aberranti in nome dell’amore (ma guarda!), la cinepresa sale, sale, sale e si perde verso il cielo. Per mostrarci l’infinitesimale stupidità dell’uomo di fronte all’immensità dell’universo? O forse il suo occhio è quello di dio, un dio assente perché inesistente, o assente perché cinico giocatore con qualche miliardo di pedine, o assente perché sconsolato dalle miserie umane? In ogni caso, Agorà è un film sorprendentemente potente, attualissimo manifesto contro l’intolleranza, mai noioso anche quando arzigogola di astronomia.

venerdì 23 aprile 2010

レベル


La locandina internazionale evoca un'idea patetico-poetica di Giappone da cartolina, il titolo inglese - che in italiano è rimasto uguale visto che tanto noi siamo ammeregani - gioca un po' ipocritamente tra partenze e dipartite. Diffidate di tutto ciò: Okuribito (Colui che accompagna), al di là degli inutili artifici di marketing, è un film davvero molto bello e profondo che, attraverso la storia di un musicista senza lavoro che si ricicla come tanatoesteta, riesce a parlare di morte e del suo ipotetico senso senza filosofie da strapazzo, scorrendo incredibilmente per 130 minuti senza uno sbadiglio. In compenso tanto, tanto pianto. Oscar 2008 sacrosanto.

mercoledì 21 aprile 2010

gabbio

- Si sente male?
- Sto invecchiando. Questo posto è una Shangri-La al contrario.
(The ghost writer, Roman Polanski)

Un regista che sconta a distanza di 33 anni la sete di protagonismo e torbidi desideri giustizialisti da rotocalco di chi non vedeva l'ora di sbatterlo dentro, gira un film tutto ambientato in un'isola più claustrofobica di Shutter Island. Attori che sembrano quasi tutti prigionieri di qualcosa (Brosnan di Remington Steele, la Cattrall di Sex and the city, Wallach degli spaghetti western, Jim Belushi del fratello, Timothy Hutton del padre, tutti o quasi comunque del passato), interpretano personaggi doppi, forse tripli, ma sempre prigionieri dei loro cliché, immersi in una atmosfera torbidamente noir, densa come la bottiglia di orzata dove galleggia Milano (e questo è Faber, mica io). In tutto ciò si aggira il parolaio un tanto al chilo Ewan McGregor, puro siccome un angelo e quindi perfetta vittima sacrificale. Non è il miglior Polanski, ma la sensazione finale di aver spiato per 130 minuti una terapia di gruppo è un interessante torcibudella da meditare nel silenzio della propria casetta.


- Ma chi è che c'è nell'ombra? Non ho capito chi è che sta nell'ombra.
- Domandare è lecito, rispondere è fantasia.
(I soliti accordi, Enzo Jannacci e Paolo Rossi)

martedì 20 aprile 2010

dantès contro il vulcano


Il tempo di prendere un caffè, cisposo e in maglietta davanti al sito di Repubblica, per capire che in un'ora avrei dovuto fare doccia, valigia, richiesta rimborso, biglietto del treno e via verso la stazione. Eyjafjallajökull alla fine ha vinto il girone di andata; sul ritorno sono fiducioso, farò pollice verso in faccia al vulcano, nessuno mi multerà, nessuno mi schiaffeggerà, basta non sbagliare curva. In treno cerco inutilmente di capire che film guarda la ragazza accanto, quella di fronte disegna su un volumone di Vogue (matita su patinato? e perché non tentare di cancellare l'evidenziatore con la gommapane?). Dietro, un Mastrolindo versione regista cerca un montatore per telefono: avete mai provato a cercare un idraulico di domenica? ecco, uguale. Intanto Lethem scorre via per 550 pagine, rievocandomi infanzia e supereroi e arricchendo il blocco note della musica che entrerà nel mio ipod. Cristono di default dopo Bologna, ma alla fine si arriva puntuali. Profumo di casa a casa della persona che si ama, quasi niente di più bello.

venerdì 16 aprile 2010

ti faccio ’o gioco


C’è molta crisi, è evidente. Si prende su tutto, anche di più. Pecunia non olet o forse sono io che sono snob. Tutt’e due? Ok, tutt’e due. Così ieri pomeriggio mi si dice che c’è questa cosa da fare. Per martedì. Sì, ma io sono in ferie da domani sera. Ah. Sì ma se mi spieghi tutto ora, ce la faccio, eccheccevò? È piccola cosa e io produco fuffa concreta, stabile, affidabile, micacazzi, roba che il swiffer gli fa una pippa. Dimmi quanto e cosa. Dammi una scadenza che sennò soffoco nelle meline. Sono un burattinaio di parole, vent’anni di onorata attività. Riempitore di spazi bianchi, sapevatelo.

giovedì 15 aprile 2010

coi pochi vantaggi che la mia condizione mi dà


Finito il Grande Lavoro, da ieri mi dedico alle Grandi Pulizie di Pasqua (che lo so che Pasqua è già bella che andata, ma in quei giorni lì avevo di meglio da fare). Ed è incredibile, tra cracia e ciapapuer, quanta roba si accumuli nei cassetti dell’ufficio. Oggetti misteriosi come un paio di posate che devo aver rubato da qualche parte per non so che motivo, una tazza che arriva dalla mia vecchia casa torinese e che qui avrò utilizzato due volte, cd carichi di chissà che foto, libri iniziati per lavoro e mai finiti, bollette faxate perché pagate in ritardo, una cartolina con un tentativo di addio fitto d’amore e di parole che mi commuove per quanto è ancora bello, uno zip da 100 mega che vien voglia di incorniciarlo (e non è detto che non lo faccia) per quanto sembri uscito da un telefilm di fantascienza anni Settanta. Come dice fintamente saputo il gagno qui accanto, in dieci anni una scrivania diventa succursale di casa. Ma io una scrivania ce l’ho anche a casa, e di casa e di scrivania a occhio una basta e avanza.

(non so se ci scriverò su qualcosa:
per il momento, con grande tristezza, addio Tarzàn!)

lunedì 12 aprile 2010

il visconti dimezzato


È ufficiale: i titoli di testa stile anni Cinquanta, sovraimpressi a una Milano fintamente bianconero per la neve, sono la cosa migliore di Io sono l'amore. C'erano mille motivi per non vederlo, a cominciare dai troppi pareri positivi e dai troppi paragoni ingombranti (anche perché è evidente quali siano i modelli – inarrivabili – del regista). E poi Luca Guadagnino era quello del film di Melissa P., sbagliato fin dall'età dell'attrice protagonista. Però. Però c'era questa congerie di attori che sembrava un elenco in stile Fiorello che imita Minà. E io sono troppo curioso. Ebbene: Edoardo Gabriellini e Flavio Parenti (che nel film divide nome e senso etico con il più sfigato degli Agnelli – un caso?) sono quelli che funzionano meglio; Alba Rohrwacher ha scritto lesbica in faccia fin dalla prima inquadratura; Tilda Swinton e Marisa Berenson doppiatele e non fatele mai più lavorare insieme così saranno perfette; Ferzetti è sprecato, Delbono fuori parte. Per tacere dei primissimi piani immotivati, della scena di sesso più pudica e noiosa del secolo e di certe battute che vorrebbero apparire incisive ma sono solo patetiche. Uh, il titolo! A un certo punto la Swinton guarda in tv Philadelphia, laddove Tom Hanks ormai terminale ascolta con Denzel Washington la romanza La mamma morta dell'Andrea Chenier («… sorridi e spera! Io son l'amore...»). Cantata dalla Callas, naturalmente. Ché, quanto a cliché, ci battono solo gli americani.

domenica 11 aprile 2010

che lavoro fai?


Vorrei poter scrivere una recensione di I love you Phillip Morris. Mi piacerebbe, ma non l'ho visto. O meglio, ne ho visto la versione americana rimontata e addomesticata, quella proiettabile fuori da New York, quella che non farà un dollaro a Dallas ma farà tanto ridere Los Angeles. La stessa che è stata acquistata da una nota casa di distribuzione italiana teoricamente sensibile ai temi gay, e trasformata, a partire dall'aberrante titolo e dal trailer, in uno di quei film da cui usciranno dopo dieci minuti frotte di piccole teste di cazzo commentando «Ma minchia, Gincherri è frocio!». Consiglio per la lettura, l'illuminante intervista alla marketing manager (?!?) di Lucky Red, da cui si evince che se un film gaio fa ridere non può essere esplicito e, soprattutto, che chi decide certe cose ci considera degli imbecilli. Chissà: a ben guardare, su quest'ultima cosa forse ha ragione.


E ora, quiz del lunedì:
cosa accomuna 2012 e La vita è una cosa meravigliosa?
(non preoccupatevi, basta guardare i trailer)

giovedì 8 aprile 2010

la ballata del pittore


C'era questo bambino con la funcia, i capelli a caschetto, gli occhi azzurri. Praticamente, se avessimo avuto come compagno di scuola Brad Pitt, quest'ultimo non se lo sarebbe filato nessuno. I maschi gli invidiavano il padre, ex mito dello sport cittadino. Le femmine lo adoravano in silenzio, ma per fortuna erano ancora piccole per farcelo pesare. Lui disegnava. Non grandi cose, ma neanche i nostri sgorbi. I colori io li odiavo, non sapevo mai come usarli; lui li conosceva, sembrava che ci giocasse, e probabilmente era così. Poi siamo cresciuti. Lui è andato a Milano. Anch'io. Lui ha scoperto che la cosa che voleva fare era solo la punta dell'iceberg di quello di cui era capace. Anch'io. Lui da un po' non ha più il caschetto e la funcia. Io da un po' non ho più tanti capelli e la bocca aperta. Di lui ogni tanto vedo qualche quadro in giro. Alcuni mi piacciono, altri mi inquietano, altri ancora li adoro perché mi fanno i due effetti insieme. Ma ho smesso di invidiarlo credo 30 anni fa. Perché anch'io, se mi spara il mio amico M., sono capace di morire al ralenti come nei film.

mercoledì 7 aprile 2010

improper conduct


- Ehi Joey, ma mi guardi, cazzo? Questo a scuola mica te lo insegnano. Allora, hai presente il film?
- Sì, pa'.
- Ecco, quella... no, quella è la finestra da cui ha sparato Oswald. O chi per lui.
- Pa'?
- Eh sì, perché questo è il bello. Vedi, il complotto giudaico-massonico gestito da Lyndon Johnson con l'appoggio dei militari americani e degli esuli cubani...
- Papaaaà...
- Sì, hai ragione, torniamo alla dinamica della faccenda. Perché sai, Joey, cazzo quell'uomo lì faceva discorsi strani. Quant'è vero dio sembrava cristiano, ma mica come noi. No, di quelli siamo tutti uguali, la democrazia, 'ste cazzate insomma. E poi, sai con chi se la faceva di nascosto dalla moglie? Anzi, mica tanto di nascosto...
- Scusa pa', ma lì in fondo che succede?
- Non ti distrarre, arriva il meglio: le pallottole. E sì, perché gli hanno sfracellato il cranio. Roba di quei film che ci piacciono tanto... però stavolta era vero, eh... Tanto di quel sangue! E lei, Jackie, dovevi vederla. Anzi, sì che l'hai vista.
- Papà, ma quella signora lì è nuda!
- Nuda? Dove? Viene buona per stasera. Ehm... Polizia! Fbi! Cia! Papa! Rabbino! Ma dove cazzo siete quando servite?


(perché amo anche lei, eccheccazzo!)

martedì 6 aprile 2010

i love you fabrizio


Io già lo sapevo. La cosa bellissima è che, come per certi grandi amori, non sai mai bene che cos'è che ti piace in particolare. E lui mi piace sempre. Nonostante Happy family. Che è un crogiolo di buone intenzioni e di mille linguaggi. Ma non basta riunire due vecchie volpi come avvenne in questo piccolo miracolo qui. Né è sufficiente spiazzare il pubblico che s'incazza sul finto finale. O filmare la Milano notturna in bianco e nero mentre in sottofondo passa Chopin. Alla fine mi sa che si è divertito solo Salvatores. Ah, già: ben ti voglio Bentivoglio!

lunedì 5 aprile 2010

fame


Fiumicino. Tra un volo e l'altro finisco il libro della Parrella, inizio Lethem, scopro che è tutto un altro romanzo rispetto a quello che mi aspettavo, per fortuna mi piace: un Hornby ambientato a Brooklyn, direi se avessi già letto qualcosa di Hornby. L'insegna del winebar di Frescobaldi mi ispira, si sta al bancone con prezzi da ristorante ma me ne fotto e mi faccio un Morellino. Poco dopo ecco che mi si siede accanto il noto comico della nota coppia comica che non sai mai chi è l'uno e chi è l'altro. Magro come uno stecco, ha baffoni anni Settanta e anche il maglione sembra uscito da un poliziottesco. Lo riconosco subito e con me, piano piano, anche tutti quelli che stanno lì intorno. Mi riprometto di scomparire se qualcuno gli chiederà un autografo, cosa che per fortuna non succede. Però lo guardano. Ci guardano. E io mi chiedo cosa farei al suo posto se mi cascasse addosso un pezzo del formaggio che sta mangiando o, peggio, un sorso del vino che sta bevendo. Manderei affanculo l'aplomb e smadonnerei come mio solito? A naso, direi proprio di sì. No, non ce la posso fare. Allontanate da me l'amaro calice: se dovesse capitare, ricco sì, famoso mai.