mercoledì 29 febbraio 2012

ohana


Oscar alla migliore sceneggiatura non originale (categoria nella quale, comunque la si pensi, la vittoria di Hugo avrebbe avuto un senso), Golden Globe come miglior film drammatico, premi vari a Shailene Woodley la cui interpretazione consiste nell’immobilità di una donna in coma: in preda a una sorta di allucinazione collettiva, in tanti sopravvalutano ancora una volta l’onesto cinema di Alexander Payne. L’indipendente della porta accanto non ha fatto un brutto film (non erano brutti neanche i precedenti), ma un film che ti fa incazzare perché avrebbe potuto essere decisamente migliore. Insomma con qualche lacrima in meno, senza i ruffiani titoli di coda, con un Clooney meno gigione che non renda (involontariamente?) comici alcuni momenti drammatici, Paradiso amaro (tradurre con Gli eredi no, eh? eppure in quel titolo ci sarebbe stato tutto) ci avrebbe guadagnato parecchio. Notevoli l’idea di base, l’ambientazione hawaiana e buona parte del cast, in particolare la piccola Amara Miller e lo stuolo dei cugini guidati da Beau Bridges e dal “muto” Michael Ontkean.


lunedì 27 febbraio 2012

hugo cabrón


Papà quarantenne: - Vedi? Una volta i film erano tutti in bianco e nero.
Figlio adolescente: - Come la Juve!

(Torino, Museo del Cinema, una domenica pomeriggio)


venerdì 24 febbraio 2012

do they know it’s christmas time?


Che anno è, che giorno è? si chiedeva Lucio Dalla. Se lo è chiesto anche Alberto Pezzotta su Vivimilano guardando Miracolo a Le Havre e, indovinate?, me lo sono chiesto anch’io. Perché, incredibile dictu, per una volta (e probabilmente per sbaglio) i distributori italiani hanno azzeccato una uscita: il film di Kaurismäki è una perfetta favola di Natale. Ed essendo una favola è, soprattutto, poco credibile, fuori dal tempo e anche, più o meno, dallo spazio. Giudizio negativo? Neanche per sogno, perché come già in passato è geniale il modo del regista di raccontare il peggio dell’oggi filtrato dal paradosso, dall’assurdo. Merito anche di un signor cast, specie tra i comprimari (Darroussin impagabile poliziotto con crisi di coscienza, Léaud irriconoscibile perfido vicino di casa…). Poi, da questo a dire che è uno dei migliori Kaurismäki ne corre. Però si esce meditando. E col sorriso. Butta via…


giovedì 23 febbraio 2012

prego, signora thatcher


Oggi er barcarolo va controcorente (l’arisentite l’eco? no? vabbè, e io che canto a fare?). Non aspettandomi nulla di buono sono andato a vedere The iron lady: ora, pur non essendo sicuramente un film della vita, mi è piaciuto. Certo, non è un film politico: è vero, non prende posizione, e immagino lo sguardo basito di chi non ha idea della storia e si vede sfilare intorno rivolte dei lavoratori e guerra delle Falkland. D’altra parte uno può sempre tornare a casa e leggere dei libri sull’argomento, o no? Dice: troppi flashback. Non mi pare, ma in ogni caso tengono, tutto il contrario che in J. Edgar, per esempio. Dice: Meryl Streep gigioneggia. Se significa che dà vita a una delle sue migliori caratterizzazioni degli ultimi anni, sì. Dice: Phyllida Lloyd è la regista di Mamma mia. E questa è l’obiezione più odiosa, che puzza lontano un miglio di snobismo e razzismo culturale, come se un(a) regista dovesse sempre rinchiudersi in uno stesso genere.


martedì 21 febbraio 2012

legalizzatela


(dedicato al mio amore che, leggendo il titolo, ha capito di cosa avrei parlato)

Nel mio lungo weekend cinematografico c'è stata un'inquietudine costante. Anche, direi soprattutto, prima di Shame. Ché è un bell'ossimoro far vedere quello spot osceno prima del film di McQueen: quello del tizio sfigato che all'orgetta con le quattro sfigate (buttale via) preferisce le scommesse su internet. Uno spot di cui mi dicono ci sia una variante radiofonica. E forse anche tv. Se vedessi la tv. Invece guardo il tubo. Che mi fa ascoltare le canzoni di Sanremo (sono ancora troppo indietro per farmi un'idea, ma schifo quasi tutto, canticchio Noemi e mi diverte quel genietto di Bersani), e che mi mostra le farfalline. Dici: che c'entra la fica con le scommesse? C'entra. Anzi, ti dirò, non l'avrei mai detto ma sto con Belen. Non in senso biblico ché, giuro, quella donna non mi piace. Però sto dalla sua parte. Sto dalla parte di una che si è già dovuta sorbire le peggio cose per quel famoso video girato in filesharing. Bene, bravi, tutti a fare battute: vorrei vedere voi se domani moglie suocera e capufficio vi vedessero diciassettenni a spararvi seghe sul catalogo postalmarket (perché quello facevate a 17 anni, pochi cazzi!). E quindi adesso sta lì, immortalata, con la mutanda fantasma che a me ricorda il costume di Borat e la farfalla al vento. In un paesino come il nostro, dove Monti comincia a essere considerato il padre della patria solo perché prova a fare qualcosa di giusto o sbagliato ma comunque di concreto, forse sarebbe il caso di legalizzarla. Cosa? La fica. Mostrarla. Senza se, senza ma, senza mutanda di Borat. Se vedi una cosa in tv, esiste. Dicono. Passa una settimana ed è normalità. La prossima volta che si vede un cazzo al cinema o una passera in tv, si penserà al film o alle canzoni. In culo alla chiesa, potremmo anche non morire democristiani.


lunedì 20 febbraio 2012

such a frame


Partiamo dalle notizie spicciole: il (bel) pisello di Michael Fassbender appare un paio di volte nei primi minuti del film, poi basta. Idem per il (bel) culo. Seconda notizia: non illudetevi, Shame non è un film erotico. Sarebbe come dire che L’esorcista è un film horror. Però è un film in cui persino Carey Mulligan sembra sexy, anche quando si avventura in una lentissima, estenuante versione di New York New York. Detto ciò, veniamo alle cose serie: il film di Steve McQueen, sebbene a tratti sia freddo al limite del documentaristico, e sebbene scivoli e sbandi un po’ sul finale paraculo, è di una bellezza struggente. Merito di molte buone idee di regia (le due lunghe sequenze sul metrò, la cena), di attori più che convincenti, di un approccio morale e non moralistico (chi è più disperato tra Brandon e il suo capo?). Colonna sonora notevole, anche se le Variazioni Goldberg, che pure amo tanto, cominciano a essere più che abusate. Qualcuno sa se l’albergo vista mare esiste sul serio?

martedì 14 febbraio 2012

loro sono ancora grandi, è la tv che è diventata piccola


Su, alzate la mano, facciamo outing, ché di quella leva lì qui ne passano spesso. Io me lo ricordo in questo modo: era quell’ora un po’ così, con il primo buio che impigriva la voglia di giocare, l’odore di cena ancora acerbo, l’occhio svagato a un compito iniziato qualche ora prima e mai finito, colpa della testa persa a fantasticare di sé o della mano persa a curiosare dentro i pantaloni. Insomma, a quell’ora là, passate le sette e non ancora le otto, c’era una roba sul due che si chiamava Buonasera con…, al cui interno è passato gran parte dell’immaginario televisivo della nostra allora implume generazione, da Goldrake a Mork e Mindy fino ai Muppets. Ecco, il Muppet show. Un’idea geniale con tocchi surreali, uno spettacolo come si facevano negli Usa (anche se noi non lo sapevamo) ma interpretato da pupazzi, una star (vera) in carne e ossa in ogni puntata, tv adulta per bambini o tv bambina per adulti, chissà. La serie andò avanti per cinque stagioni, probabilmente neanche tutte edite in Italia. Poi vennero i film (carini), la morte di Henson, il figlio che ne prese l’eredità, la Disney. E ora questa specie di reboot cinematografico. Che io e Unfattovéro abbiamo visto (unici adulti non accompagnati) circondati da bimbi belli come il sole e da genitori invadenti come la neve che s’incrosta sotto la macchina. Che dire? Le idee ci sono, e l’ironia, la malinconia, l’odore della polvere di palcoscenico sono palpabili. Purtroppo ci sono anche le canzoncine buoniste, il doppiaggio italiano, le zaffate di kitsch più o meno consapevole, gli attori in carne e ossa tutti abbastanza insopportabili. Alla fine, un film che non sai bene a che pubblico sia dedicato, proprio come l’imperdibile corto iniziale con protagonisti i personaggi di Toy story.


venerdì 10 febbraio 2012

riempire gli spazi (per non far entrare l’uomo nero)


Da Juan Carlos Fresnadillo, già regista di 28 settimane dopo, mi aspettavo un discreto compitino: sbagliato. The intruders (titolo italiano di The intruders) è un film de paura molto psicologico che allo scorso Tff mi ha piacevolmente sorpreso: pur sfruttando un’idea frusta come un paio di mutande lise (il mostro dell’armadio), riesce a essere complesso, originale e cosparso di buone idee. E anch’io ci ho messo un po’ a capire il legame tra le due storie (una ambientata in Inghilterra, una in Spagna) che scorrono parallele per buona parte della pellicola. Tra gli attori spiccano Clive Owen e il piccolo Izán Corchero; unico neo Ella Purnell, che a 15 anni e con quella faccia lì è ormai difficile immaginare appena uscita dall’infanzia. La data di uscita italiana, prevista per fine gennaio, è slittata sine die per ragioni ignote. Come per ragioni ignote, a guardare il trailer, parrebbe che il film sia stato doppiato tutto in italiano, sia le parti in inglese sia le parti in spagnolo.


giovedì 9 febbraio 2012

escher si è fermato a montparnasse


Guardate quelle due faccette sotto: ecco, la mia durante Hugo Cabret non era molto diversa. Perché questa fiaba che parte dal 3d e arriva al Viaggio sulla luna di Méliès sarà anche uno Scorsese “minore”, sarà anche “soltanto” una «simbolica, coinvolgente (e forse un po’ inutile) lettera d’amore al cinema» (così scrive il cattivo e spesso condivisibile Filippo Mazzarella sull’edizione milanese del Corrierone), ma c’è davvero di che lustrarsi gli occhi. Intanto una bella storia che solo raramente cede al sentimentalismo, poi gli iperbolici movimenti di macchina, i piani sequenza impossibili, le meraviglie scenografiche (terzo Oscar alla coppia Ferretti-Lo Schiavo?) con tutti quei meccanismi e scale e orologi che, personalmente, mi hanno sempre fatto impazzire. Il cast è da leccarsi i baffi: su tutti Ben Kingsley e il giovane protagonista Asa Butterfield, ma non sfigurano Chloë Moretz né i preziosi cameo di Jude Law e Christopher Lee splendido novantenne. Sacha Baron Cohen, ahimè, continuo a non reggerlo.


martedì 7 febbraio 2012

elaborazione di un lutto


Ah, lo so. Ben Gazzara impagabile faccia da Cassavetes, Ben Gazzara capace di passare da Don Bosco a Il grande Lebowski, da Festa Campanile a Happiness e via così per altre dieci righe. Ma chi ha detto che questo è un blog di cinema? Io appena ho letto della sua morte, beh la prima cosa che ho pensato è stata «New York, Madison Square Garden». No, nessun incontro, nessuno spettacolo, nessuna oscura citazione: è che durante il mio soggiorno nella grande mela, dormivo a due passi da lì. Vicino c’è una piccola pasticceria italoamericana che dichiara di preparare il miglior cheesecake della città. E c’è un video, ipnotico, trasmesso 24 ore su 24 da un piccolo monitor in vetrina: un tizio getta per terra due fette di dolce di due locali diversi e un paio di piccioni corrono a beccare quello della pasticceria in questione. Cosa c’entra con Ben Gazzara? Mica mi limitavo a guardare il video. Ci compravo la colazione, in quel posto lì. E c’erano almeno due foto con autografo di Ben Gazzara. Foto fatte nel locale, naturalmente. Beh, appena ho letto della sua morte, ho pensato tutta questa roba qui.


venerdì 3 febbraio 2012

la geometria non è un reato


Ci sono poche cose che al cinema trovo quasi sistematicamente indigeste: le commedie sui trenta-quarantenni e le commedie che parlano di sesso. Quando poi sono americane o italiane, mi sento morire. Perché gli italiani di solito non sanno mordere mentre gli americani peccano di moralismo. Detto ciò, incredibile ma vero, una commedia americana decente che parla di sesso ed è vivaddio più scorretta di Zack e Miri l’ho trovata: A good old fashioned orgy. La storia è semplice: il protagonista è un ricco bamboccione con una casa da sogno che usa per feste assurde e devastanti, finché il padre (cameo di Don Johnson in grande spolvero) non decide di venderla; e prima che ciò accada, cosa c’è di più catartico e indimenticabile di un’orgia tra amici e amiche che fino a mò non si sono quasi neanche baciati? Certo, i personaggi sono un po’ tagliati con l’accetta, Tyler Labine – indovinate? – fa il grassone fissato col sesso, i maschi sono cessi (Jason Sudeikis vi piace? vabbè, contenti voi…), le femmine tutte piuttosto gnocche... però i dialoghi sono divertenti e ci sono diverse trovate intelligenti (i registi, Alex Gregory e Peter Huyck, arrivano da un po’ di buona tv), compreso l’apparente ripiegamento moralistico che invece precede il colpo d’ala che porta dritto al buon finale. Non ci sono notizie di una possibile uscita in Italia. Forse è un bene: vi immaginate cosa potrebbe diventare il titolo?


giovedì 2 febbraio 2012

sulla punta della lingua


Il bello della neve dici? Sì, ok. Ehm, dunque… sì, no-no, eeeh… aspetta. Il bello della… Certo. Allora… Ce l’ho, e dai, che credi? Quindi dicevamo… Sì, allora, in un certo senso si potrebbe dire che… Ma sì che la so, non mi mettere fretta. Allora: la neve, giusto? Insomma tu vedi tutta questa cosa bianca messa lì davanti… no, cioè dietro... Come «davanti o dietro»? Aspetta che ci arrivo. Mh, quindi: la neve. Essa si… Sì, hai ragione, essa saranno cinquant’anni che non si dice. È che volevo introdur… Insomma cade che sembra acqua ma… Come? Ah sì, sai che cos’è ma vuoi sapere dov’è il bello. Ok, la neve. Bene, il suo bello… Posso tornare domani?


mercoledì 1 febbraio 2012

(non) fermate quella ragazza


E poi, senza perdere mai quel sorriso immenso, lui attacca You are my lucky star. E a me si aprono le cataratte. Un po’ perché il momento è topico, un po’ perché il film sta per finire e tutto quello strepitoso sfavillio di canzoni e scioglilingua e invenzioni in technicolor cesserà tra pochi minuti sulla scritta The end. Ma poi guardo quei two lovely eyes che beamin' e gleamin’ non passa giorno che non mi facciano perdere la testa, e sorrido. Perché in questa domenica pomeriggio Cantando sotto la pioggia ha contagiato anche te.