giovedì 28 febbraio 2013

doppelgänger


No, non parlo di politica che poi m’incazzo e mi intristisco e faccio pure discussioni con quelli a cui voglio bene. Viva la libertà l’ho visto prima delle elezioni, durante un tardo pomeriggio postlavorativo in trasferta, in fuga dalle bruttezze dell’hinterland milanese. Di Roberto Andò conoscevo Viaggio segreto, drammone psicologico di cui ricordo la Solarino e un paio di scene di sesso, null’altro. A spingermi, stavolta, Toni Servillo, che potrei guardare mentre legge le Pagine Gialle. La storia è quella, non originalissima, di due fratelli gemelli: uno è un noioso e impigrito capo dell’opposizione che vivrebbe d’amore e di cinema (e dagli torto!), l’altro un filosofo pieno di vita appena uscito dall’ospedale psichiatrico. Dopo la fuga del primo verso un vecchio amore (l’insopportabile Valeria Bruni Tedeschi), il suo fedelissimo Mastandrea decide la sostituzione. Il matto, che matto non è, convinto com’è che le alleanze si fanno con le persone e non con i partiti, sbancherà le elezioni. Il finale è scontato, o forse no. Il film funziona a corrente alternata, a volte brilla, a volte si ripiega o si stiracchia, ma ci parla di tanta roba. Bello rivedere Gianrico Tedeschi, notevole lo pseudodalema di Andrea Renzi.

mercoledì 27 febbraio 2013

kunta kinte inside


Il caso non esiste, m’insegna la ms, e mi sa che ha ragione. Nella sala d’attesa del medico, che alle otto e mezza pullula già di pensionati e casalinghe (santo Ruzzle protettore degli impazienti!), una calabrese inquartata e razzistoide ciancia del “padrone” che non fa più lavorare il figlio il sabato. Poco dopo, mentre rimedio la colazione, la ragazza del forno parlando con qualcuno chiede «È vero che stasera vedi la mia padrona?». Non un capo, un datore di lavoro, al limite chill’ strunz, no, un padrone. Sì, buana: la libertà, che non sia quella di farsi i cazzi i propri, è un concetto che agli italiani proprio non piace.


martedì 26 febbraio 2013

kali nikta


Sempre che importi a qualcuno, ecco la mia lucida analisi del voto: è un paese per cialtroni. Miserabili cialtroni, peraltro. D’altra parte avrei dovuto immaginare cosa si preparava appena un paio d’ore prima degli exit poll, in cassa a un super, con la smandrappona Uomini e donne style che ostentava il suo voto di fronte a un divertito commesso gaio che avrebbe tanto voluto spaccarle gli occhialoni da zoccola. O, peggio, con la madre di famiglia che, candida come la malattia venerea che prima o poi le trasmetterà il marito, se n’è uscita con «Io ho votato pdl perché mi hanno dato 50 euro». Non so, pensavo che la dignità valesse un po’ di più. Detto ciò è stato un bel weekend lungo, in cui ho incontrato due persone vere e gggiovani che, nonostante stiano a Bari, si fanno un culo così per creare qualcosa di diverso, uno con l’arte, l’altro con la birra. Un bel weekend lungo in cui, un po’ più delle altre volte, ho avuto modo di conoscere Mr. Cì e Piotra e capire perché la ms sia così legata a questi due simpatici, insopportabili, testardi, adorabili, meravigliosi personaggi. C’è stato spazio anche per il cinema, ma ne riparleremo. Quanto agli Oscar, felicissimo per Argo, Vita di Pi, Paper man e, sulla fiducia, per Searching for Sugar Man. Ah, mi dicono un gran bene dei capezzoli di Anne Hathaway.

Construction, Carolin Jörg

mercoledì 20 febbraio 2013

la vita è un treno, ma forse pure la morte


Posto che non ho ancora capito chi minchia è Leo Tolstoy (forse un personaggio minore di Harry Potter?) ma conosco discretamente l’opera di Lev Tolstoj, incredibile ma vero vi consiglio la nuovissima versione cinematografica di Anna Karenina, sì diretta da Joe Wright (e interpretata da Keira Knightley, quei due mica me la contano giusta) ma sceneggiata dall’ottimo Tom Stoppard (beh, Shakespeare in love facciamo finta sia di un altro, via...). L’idea centrale è quella di creare un effetto teatro modificando le quinte nel corso del film con piccoli e grandi effetti visivi e macchine sceniche: bellissimo, se ogni tanto Wright non se ne dimenticasse. E però... però il tutto funziona, vive di un ritmo formidabile, ha momenti di meraviglia per gli occhi. La Knightley ci piace tanto, quindi sono un tantinello di parte, perfetti Jude Law nel ruolo del noiosissimo marito e Aaron Johnson nella parte del fascinoso Vronskij. Ah, il film in Italia esce domani.


martedì 19 febbraio 2013

l’uomo in fracking (o della moria delle vacche)


Ok, ero prevenuto. Van Sant quando non sperimenta, quando va placido su sentieri tranquilli, è un po’ come Spielberg quando non fa intrattenimento: due su tre non gli vengono fuori grandi cose. Inoltre Promised land è un film politico, civile, ambientalista, commmunista, ma americano, ambientato negli Usa più vaccari che vaccari non si può. Dulcis in fundo, Matt Damon mi sta un po’ in cima al glande. Insomma c’era da scoraggiarsi, e parecchio. Eppure a me è piaciuto, e neanche poco. Credo che il motivo fondamentale sia la bella dose di ambiguità che percorre tutta la pellicola, la cui sceneggiatura, sviluppata dagli stessi protagonisti (Damon e John Krasinski) si deve a un’idea di Dave Eggers (e scusate se è poco!). È interessante vedere come il pubblico boccalone finisca per stare dalla parte di quei simpatici e un po’ sfigati di Matt Damon e Frances McDormand che cercano di convincere gli altrettanto sfigati abitanti di una piccola cittadina a cedere i loro terreni ricavandone gas naturale, molti milioni di dollari e probabile morte della terra, delle acque, degli uomini, non necessariamente in quest’ordine. Perché in Italia come negli Usa, alla fine non importa quello che vendi, l’importante è che tu abbia la faccia come il culo. Nel resto del cast spiccano una vecchia gloria come Hal Holbrook e la gnocchezza tutta particolare di Rosemarie DeWitt.


lunedì 18 febbraio 2013

gone benny gone


- Davvero conosci Warren Beatty?
- Certo, ci ho pisciato accanto nei cessi dei Golden Globes.
(Argo, Ben Affleck)

Che si sappia: nella notte degli Oscar il mio pensiero sarà Argovaffanculo! Perché, dopo averlo visto con colpevolissimo ritardo, adesso posso dirlo: il film di Ben Affleck è una grande ficata. Una storia così vera da sembrare fintissima, ambientazione Seventies perfetta, grande ritmo, tensione drammatica che mi ha ricordato un po’ Munich, dialoghi (anche) molto divertenti (in sala ridevo solo io, quindi lo erano davvero), attori in forma smagliante (John Goodman meritava la nomination esattamente come Alan Arkin). A cercare il pelo nell’uovo, il finale volemose bene tra moglie e marito l’ho trovato un po’ di troppo. Lode all’edizione italiana che, chissà se consapevolmente, rende giustizia a Battaglia per il pianeta delle scimmie liberandolo dall’osceno titolo con cui uscì all’epoca nel nostro paese.


venerdì 15 febbraio 2013

ho affittato un killer


Ma che davero davero dell’uscita italiana di The liability non si sa nulla? Eppure il film di Craig Viveiros (vi ricordate Ghosted? neanch’io, ma recupererò) ha tutto per piacere. Intanto la storia: il padre straricco di un ragazzetto viziato, dopo che questo ha combinato l’ennesima (la distruzione di una macchina «così nuova che viene voglia di pisciarci dentro», per citare Eddie Murphy), decide di mandarlo a lavorare. In fabbrica? In ufficio? Banale. Lo affida al suo assassino di fiducia (sì, lo straricco è molto, molto losco, porno torture compresi) affinché gli insegni il mestiere. Ora, il killer è Tim Roth, lo straricco è Peter Mullan, il ragazzino è Jack O'Connell (lo stronzetto di Tower block): tre facce di tolla, tre interpretazioni che valorizzano ulteriormente il tutto. Una piccola goduria di 95 minuti: consigliato.

mercoledì 13 febbraio 2013

ingravescentem aetatem


La casualità degli eventi (sempre che il caso esista) mi spinge a fare il terzo post con questo titolo (almeno tra i blog che leggo io). E non è facile manco per un cazzo (scusate se ho scritto manco), perché sandali e la middle son donnini di curtura mica da ridere. Si capisce perché sto ravanando lanugine dall’ombelico da quattro righe? Eh, mannaggiavvoi, mi avete scoperto. Proprio come ha fatto uno dei blogger che seguo, spesso in silenzio ma con assiduità, e che, fatti due conti, mi ha chiesto l’amicizia su fb. Ah, per inciso, sono stato ben felice di accettarla. Dite che sto andando fuori tema? Dite che vorrei smenarla sul papa proprio oggi che tutti parlano di Sanremo e io no, perché lo vedrò a pezzetti su youtube in quanto sono talmente snob che il festival mi piace ma non lo reggo per più di 10 minuti? Mi sa che avete ragione. È che non riesco a pensare a uno meno dimissionario di un papa. Insomma, sei... dovresti essere una guida spirituale, non un impiegato del catasto. Il tuo compito non finisce alle sei del pomeriggio, poi il sabato all’iper a far la spesa. Per te niente orologio con la scritta (hai già lo sbrillocco al dito!), niente rinfresco con la ditta, gomitate e occhiolini, «adesso chissà come ti divertirai, beato te!». Quello ti toccava fare: essere un faro. Detto ciò, come papa facevi cacare.

martedì 12 febbraio 2013

al proprio destino nessuno gli sfugge


Arriverà anche in Italia, non si sa bene quando. Ci hanno messo prima Il mondo di, come una pezza, come se un nome e un cognome da solo non bastassero a fare un titolo. Misteri dell’idiozia umana, un po’ come diventare vaticanisti in 24 ore o votare il peggiore per settant’anni. Comunque, Arthur Newman potrete tranquillamente evitarlo: l’opera prima di Dante Ariola è noiosetta, vagamante moralista e sbandicchia qua e là come una Panda sulla neve. Un uomo noioso e annoiato, abbandonato dalla moglie e scacato dal figlio, decide di cambiare identità e fare il lavoro che ha sempre desiderato: neanche il tempo di prendere questa decisione si imbatte in una ragazza piuttosto problematica di cui – indovinate? – si innamora. Emily Blunt sta bene nei panni della gnocca alternativa un po’ spostata, Colin Firth è comunicativo come un attaccapanni. Divertente ma non originale l’idea di infilarsi in casa d’altri fingendo di esserne i proprietari (ricordate Ferro 3?), finale più o meno scontato.

lunedì 11 febbraio 2013

dantès inchianated


Cari miei implumi lettori, questo post non vi piacerà. Volete proseguire lo stesso? Ok. Ho finalmente visto Django unchained. Può bastare un cast eccellente a fare un gran film? Perché gli attori sono spettacolari: più DiCaprio e Samuel L. Jackson (il mio preferito) di Jamie Foxx e Christoph Waltz, divertente il cameo di Don Johnson. Tuttavia siamo di fronte a un esercizio di stile impeccabile, un falso d’autore curato nei minimi dettagli (sebbene uno spaghetti western di 165 minuti non si sia mai visto), ma poco di più. Tanta forma, poca sostanza, lontani anni luce da Bastardi senza gloria. E dei particolari da darsi di gomito tra cinefili, compreso l’inutile siparietto masturbatorio con Franco Nero, mi sono francamente abbastanza stufato.

venerdì 8 febbraio 2013

una botta e poi


Quando bazzicavo il teatro amatoriale, c’era sempre un titolo che saltava fuori, anche, curiosamente, tra le proposte parrocchiali: Alla stessa ora, il prossimo anno di Bernard Slade. È la storia di due amanti occasionali che decidono di incontrarsi solo una volta all’anno, sempre lo stesso giorno: nel frattempo si sposano (con altri), figliano, si ammalano, invecchiano. Lo spunto iniziale di 28 hotel rooms, opera prima di Matt Ross, attore di tanta tv ma anche di qualche ottimo film, non è molto diverso. Un uomo e una donna si incontrano nel bar di un albergo, si piacciono, scopano, lui le lascia il numero, lei è convinta che non lo chiamerà. E invece si rivedono a distanza di tempo per 28 volte, durante le quali scoperanno, rideranno, si racconteranno i problemi personali, si incazzeranno mortalmente, si diranno preoccupati “Ti amo”. Chris Messina (il fratello di Paul Dano in Ruby Sparks) è un perfetto paraculo, Marin Ireland è un’interessante scelta anticonvenzionale, l’intesa tra i due funziona molto bene. Uscita in Italia non prevista né prevedibile.


martedì 5 febbraio 2013

di favole in favole


C’è gente che domenica s’è alzata di buon mattino per ascoltare Marchionne e Landini parlare del futuro della Fiat. Io conosco almeno un modo migliore per trascorrere la domenica mattina, e non è dormire. Comunque, al grido di «No, il dibattito no!», anche sabato ho evitato la Repubblica delle idee e il suo simpatico circo di chi se la canta e se la suona mentre la nave affonda, e con la ms mi sono perso in via San Massimo dentro un vecchio negozietto stipatissimo di roba che dovrebbe essere un’erboristeria ma che non mi stupirei ogni tanto svanisca, tipo la casa della strega di Ribelle (del resto ci sono pure le pozioni magiche...). Da lì ci siamo spostati al Museo del Cinema per la mostra di Luzzati e Gianini. «Chi minchia sono?» si chiederanno i miei giovani e implumi lettori. Beh, Lele Luzzati è stato un illustratore e scenografo geniale che, per una trentina d’anni, ha realizzato insieme al regista Giulio Gianini cartoni animati di strepitosa bellezza, protagonista la musica, roba che quand’ero bambino andava in onda sotto le feste e spesso anche no, semplicemente durante la tv dei ragazzi. E siccome a quel bambino lì è sempre piaciuto capire come funzionano le cose da dentro, beh questa mostra con i rodovetri (non sapete cosa sono? ma non siete della generazione google?!?) e le sceneggiature in cui le note musicali vanno a braccetto con le indicazioni di scena gli è piaciuta proprio tanto. E anche alla ms, che bambina sotto sotto lo è pure lei.


lunedì 4 febbraio 2013

obbedienza, compiacenza, condiscendenza


Ci sono parole che non uso quasi mai. Parole ormai abusate e logore come calzini bucati, soprattutto certi aggettivi. Però nel caso di Compliance non me ne viene una diversa da disturbante. Esci dalla visione del piccolo, e in buona parte riuscito, film di Craig Zobel con un’ansia e una dose di pessimismo e fastidio nei confronti dell’umanità che all’epoca (fine novembre, Torino Film festival) ho combattuto con la prima arma a mia disposizione: infilarmi in un’altra sala e vedere un altro film. Tanto più che trattasi di storia vera, ripetutasi con modalità simili per 70 volte in 30 stati degli Usa: la proprietaria di un fastfood riceve la telefonata di un poliziotto il quale le chiede di trattenere una delle sue cameriere accusata di furto. Da lì in avanti, una spirale d’angoscia. Perché di fronte all’autorità, sebbene espressa unicamente per telefono, nessuno osa discutere, con conseguenze devastanti per tutti, non solo per la ragazza. Dreama Walker (tanta tv ma anche Gran Torino con Clint Eastwood) è la vittima, Ann Dowd (che ha tentato senza successo di spingere la sua candidatura agli Oscar) anche, gli uomini fanno tutti più o meno figure di merda. Insuccesso in patria, nessuna notizia di un’uscita italiana.


venerdì 1 febbraio 2013

memento hikikomori


Dici vabbè, è da mò che tutti l’hanno visto grazie a muli e torrenti (al cinema no, non pervenuto, meglio dare spazio a qualche bella fumante cacata americana spalmata su 600 sale) e tu bello bello ne parli ora che l’hanno dato anche in tv? Sì, ché se ti dà fastidio c’è sempre il tasto Blog successivo. Ma quanto è bello Castaway on the moon? Forse almeno quanto è vitale il cinema coreano, che non produce solo horror o Kim Ki-Duk, è anche capace di venirsene fuori con questa surreale storia d’amore tra un uomo fallito (Jung Jae-Young), talmente fallito che tenta di suicidarsi buttandosi al fiume e finisce naufrago in un isolotto sotto l’autostrada, e una ragazza (Jung Ryeo-Won) che non mette il naso fuori dalla sua stanza da anni e osserva il mondo dal mirino della sua macchina fotografica. Molto divertente, a tratti triste, sempre emozionante. Una delle cose più belle viste lo scorso anno (ma è del 2009). Direi che è ora di recuperare i due film precedenti di Lee Hey-Jun.