venerdì 31 maggio 2013

safari cinematografico


Dopo aver tributato La regina d'Africa, potevo non parlare di Cacciatore bianco, cuore nero in occasione del Clint Eastwood day? Chi è che ha detto sì? Ecco, tu, fuori. Dicevamo? Tratto dall’omonimo libro di Peter Viertel e sceneggiato dallo stesso insieme a James Bridges e Burt Kennedy, White hunter black heart è la storia romanzata di come John Huston sia riuscito a realizzare il celebre film con Bogart e la Hepburn. Non aspettatevi però attori che scimmiottano altri attori (sebbene Marisa Berenson dia una buona quanto breve prova nei panni della Hepburn): qui si parla della preproduzione e tutto gira intorno a quel rissoso irascibile carissimo Huston (qui ribattezzato John Wilson), al suo rigore morale, ai suoi sigari, i suoi principi, le sue ossessioni, la sua visione della vita e del cinema. Un’interpretazione notevolmente curata del vecchio Clint, che pare abbia studiato anche il modo di parlare del grande autore. Dal punto di vista registico, invece, Eastwood va sul sicuro costruendo un film piacevole, specie per gli appassionati di cinema, intenso, sentito, ma senza particolari impennate. In compenso, molti dialoghi sono formidabili e verrebbe voglia di mandarli a memoria. Jeff Fahey interpreta Viertel, George Dzundza è il produttore, Timothy Spall appare in un adorabile cameo nei panni di uno sgarrupato pilota d’aereo.


E di seguito, anche stavolta, l’elenco sterminato dei tanti blogger che partecipano all’iniziativa:

50/50 Thriller - Fino a prova contraria
500 film insieme - I ponti di Madison County
Bette Davis Eyes - J. Edgar
Bollalmanacco di cinema - Mezzanotte nel giardino del bene e del male
Combinazione Casuale - Per un pugno di dollari
Director's cult - Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo
Era meglio il libro - Assassinio sull'Eiger
Ho voglia di cinema - Mystic River
Il cinema spiccio - La recluta
In central perk - Invictus
Le maratone di un bradipo cinefilo - Hereafter
Movies Maniac - Gran Torino
Pensieri Cannibali - Changeling
Scrivenny - Gli spietati
Triccotraccofobia - Un mondo perfetto
Viaggiando meno - Fuga da Alcatraz
White Russian Cinema - Space Cowboys


E sarebbe il caso di ricordare che questi splendidi banner sono opera di pio!

mercoledì 29 maggio 2013

tua nipote mi tirava i capelli


In scena l’ho vista il giorno che è nata Mattea. Due atti unici tutti per lei, con appendice su quell’orrenda cosa che fu il suo stupro. Palermo, secoli fa. Lei e Dario prendono gli applausi, quindi annunciano emozionati di essere diventati nonni. Poi Dario si piazza lì, all’uscita. Io e P. emozionati come bambini gli stringiamo la mano, lei di là ancora a struccarsi. Anni dopo, a oggi ne sono passati quasi diciotto, ho conosciuto Jacopo e la sua terribile figlia strappabulbi piliferi, Alcatraz e tutto il resto. Ma ricordo ancora quella matineé di un secolo fa. E un pensiero a quel che sarà. Una tristezza in più in una giornata che a dirle plumbea le fai un complimento.

martedì 28 maggio 2013

famedio


Tanti turisti: chi l'avrebbe detto che Mazzini, Hayez e Munari avessero così successo da morti? La prima domenica d'estate, la giacca di pelle dentro lo zaino, esco a Porta Garibaldi, supero i cantieri, il passaggio del piscio, il vialone pieno d'auto e sono nel quartiere giallo. Di fronte al primo quattro stelle cinese, il cimitero monumentale. Ho una specie di appuntamento, quello con Vincenzo Jannacci medico e artista, oggi ossa, cartilagine, poco altro. Ho aspettato. Non avrei potuto sentire applausi, folla, futilità. È un pezzo di Milano che mi mancava, ed è strano essere oggi in questo museo quasi a cielo aperto, statue enormi che non sono quasi per niente inquietanti. C'è sporco e grigio, quello sì. Verrebbe voglia di prendere una grossa spugna, tirare via la cracia da tutto. Faccio un giro sopra, sotto, intorno, poi mi arrendo. Torno all'ingresso dove un guardiano con la sigaretta in bocca sembra il bigliettaio effesse del bdcdP. Sembra, perché invece è gentile. «Davanti a lei, la galleria sulla destra, sempre dritto, dopo Gaber». Lo trovo subito. C'è una lastra di marmo nuda e cruda, persino una specie di provetta con un fiore attaccata con lo scotch. Dentro non c'è più niente, lo so. Và no via Enzo... ciao Enzo, oeh!

domenica 26 maggio 2013

giusto prima di farsi raddrizzare i denti


Benvenuti al Laura Dern day! Come? Non è dedicato a lei? Occazzo. Scherzetto, lo so che stavolta si festeggia Helenona Bonham-Carter, ma rivedendo Novocaine mi sono reso conto che la vera protagonista, in realtà, è la bionda lynchiana più che la bruna burtoniana. Comunque questo è uno dei pochi film in cui Helena non è truccata in modo osceno ma fa comunque la pseudocattiva, sicuramente la cattiva ragazza, quella drugaà di cui non ci si può fidare fino in fondo. Diretto da David Atkins (sceneggiatore di quella adorabile follia di Arizona dream, qui alla sua opera prima), Novocaine è un film che non si è filato nessuno nell'orbe terracqueo, dunque mi sembrava giusto tributarlo. Commedia nera non sempre equilibrata, è la storia di Steve Martin, dentista perfetto dalla fidanzata perfetta (Laura Dern), che per qualche strana ragione si invaghisce della Bonham-Carter, finta paziente che in realtà ramazza tutti gli anestetici possibili per rivenderli. Da lì, un casino che è difficile spiegare senza spoilerare. Il film è divertente, anche se si capisce in fretta dove vuole andare a parare; d'altra parte, il finale improbabile e inaspettato funziona. Novantacinque minuti senza pensieri.


E di seguito ecco gli altri matti che tributano Helena Bonham-Carter:

Il Bollalmanacco di Cinema - Grandi Speranze
In Central Perk - La Dea dell'Amore
La Fabbrica dei Sogni - La Fabbrica di Cioccolato
Movies Maniac - Alice in Wonderland
Scrivenny - Il Discorso del Re
The Obsidian Mirror - Sweeney Todd
Triccotraccofobia - Frankenstein di Mary Shelley
White Russian Cinema - Fight Club

venerdì 24 maggio 2013

una pugnetta nello stomaco


Cara poison, non so se sia il mix di vino e aspirina, ma Blue Valentine mi è piaciuto. Entusiasmato no, intendiamoci. Però ho apprezzato lo stile un po' povero, un po' sottotono, molto realistico, da americani truzzi sporchi non poi così cattivi. Ci sono sequenze molto riuscite (il trasloco del vecchio, la lunga scena del motel, il finale), la coppia Ryan Gosling-Michelle Williams non fa faville ma funziona bene (lui è sufficientemente babbodiminchia, il personaggio di lei è davvero contro i vermi), la bambina è straordinaria. Il tutto sfastidia notevolmente a livello viscerale, gira il coltello in piaghe che tutti noi non vorremmo avere o aver vissuto. Se Derek Cianfrance è uno coi problemi, mi sa che sono molto comuni. Mi toccherà vedere Come un tuono? Mi sa che sì. Ah, ho controllato: la canzone di Tom Waits non c'è.

lunedì 20 maggio 2013

come i' babbo


Carlo Monni (1943-2013)

giovedì 16 maggio 2013

bardo thodol sotto acido


Vabbè, l’avevo detto che l’avrei visto spinto dalla scoperta dell’abbondanza ignuda di Paz de la Huerta. Quello che non sapevo è che Enter the void mi sarebbe piaciuto, e pure tanto. Certo per goderne appieno è meglio non soffrire di epilessia, e poi avere due ore e mezza di tempo (che comunque voleranno), essere ben disposti e magari impasticcarsi (io però sono contro la chimica e non avevo maria, quindi l’ho visto così al naturale; chi ha detto «tanto nel tuo caso è uguale?»). La trama del film di Gaspar Noé è presto detta: Oscar (Nathaniel Brown) vive a Tokyo con la sorella spogliarellista (Paz de la Huerta), è uno che si fa come io respiro e spaccia; la polizia, credendolo armato, lo ammazza dopo dieci minuti in un cesso lercio. E da lì, proprio come dice il Libro tibetano dei morti, la sua anima comincia a fluttuare nell’aere in attesa di reincarnazione. Sembra abbastanza una cazzata? Lo pensavo anch’io, e invece. Poi, certo, è anche e soprattutto una questione di stile, oltre che di sceneggiatura. Dei titoli di testa hanno detto tutto tutti, ma vogliamo parlare delle lunghissime soggettive con tanto di palpebra che si chiude? e della spettacolarietà delle visioni lisergiche di cui Noé, per sua stessa ammissione, è esperto? Quanto al finale... io un po’ me l’aspettavo, voi?


mercoledì 15 maggio 2013

fumo di genova


Fuori è estate e quasi mare, ma io ho solo mezz’ora di libertà: cedo così facilmente alla tentazione del toscano e del bicchiere che mi vengono offerti. L’uomo che parla di sigari e spiega che fa il flautista sembra Angelo Infanti quando racconta del «cargo che batteva bandiera liberiana» in Borotalco. Mi distraggo guardando le due ragazze che servono ai tavoli. La più gnocca (forse è solo vestita meglio o saranno le tette, chissà) ha una scritta tatuata sul braccio: dice «Se non uccide fortifica». Mi chiedo se conosce Nietzsche o se, dietro quell’aria da nonteladonemmenosemuori, è una che si commuove con Sere nere di Tiziano Ferro.

martedì 14 maggio 2013

hi-v come vendetta


Quando un tot di amici e bloggamici ti parlano male di qualcosa, alla fine un po’ ti affezioni all’idea che abbiano ragione. Quindi, per esempio, con che faccia dirò a poison che a me Confessions è piaciuto? Con la mia solita di faccia da tolla, tanto beatallei è in vacanza. Kokuhaku, del cui regista Tetsuya Nakashima onestamente non so nulla, è una coltellata tremenda, questo sì. Della trama non mi chiedete più di questo: un’insegnante distrugge la vita dei due studenti che le hanno ucciso la figlia. Un thriller spietato e crudele molto giapponese, gonfio di parole ma per nulla lento (quando ho staccato gli occhi dalla prima scena-monologo della protagonista e mi sono accorto che era passata mezz’ora non riuscivo a crederci), con un soggetto quasi geniale, una struttura magari non originalissima, poco sangue e una violenza psicologica a tratti difficile da sopportare. Disturbante, ma da vedere.

domenica 12 maggio 2013

perché la gallina attraversa la strada?


Comincio consigliandovi un libro. Letterariamente non è un granché, ma se siete appassionati di cinema vi divertirà: si chiama La regina d'Africa ovvero Come sono finita in Africa con Bogart, Bacall e Huston e per poco non ho perso la ragione. L'editore italiano (ma credo sia fuori catalogo) è Gremese, l'autrice è la festeggiata di oggi, Katharine Hepburn. L'argomento, chiaramente, è il dietro le quinte de La regina d'Africa, che John Huston girò con Humphrey Bogart e la Hepburn nel 1951. Sorvolerò sulle bevute, le cacce all'elefante (il film è ambientato in buona parte davvero in Africa) e altre amenità raccontate anche in Cacciatore bianco, cuore nero (altro libro, trasformato in pellicola grazie a Clint Eastwood, di cui parlerò il 31 maggio), per concentrarmi su questo film che in fondo è piuttosto insolito per Bogie, lo era anche all'epoca per Huston, ma in cui la Hepburn sguazza felice (e si vede): il suo personaggio è una peppia che, dopo la morte del fratello missionario in Africa orientale (il perfettamente falso e cortese Robert Morley), scopre coraggio e femminilità lottando contro i tedeschi durante la prima guerra mondiale, semplicemente trasformando, insieme al prima odiato e poi amato Bogie, un barcone (la Regina del titolo) in una specie di nave bomba lanciata contro l'ingiustizia. Una favola patriottica, sì. Divertente, drammatica, emozionante, classicissima, con qualche critica contro i pré ma pudica fino in fondo (beh, è pur sempre il '51!), e un happy end assente nel romanzo ma unica possibilità di successo per un film su cui nessuno puntava e di cui invece stiamo parlando ancora adesso... Bogart (che prese un Oscar forse eccessivo) nella sequenza in cui è fintamente ubriaco è patetico al punto giusto (chissà quando lo era sul serio); la scena in cui la Hepburn assiste il fratello che delira prima di morire è grande cinema.


Anche questa recensione partecipa al Katharine Hepburn Day insieme a quelle di un po' di altri bloggers che mangiano cinema. Buona lettura!

Director's cult
In Central Perk
Pensieri Cannibali
Scrivenny
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venerdì 10 maggio 2013

la panchina sul cortile


Si sa, sono snob, e a me François Ozon, di solito, piace serio. Ma stavolta il prolifico regista francese ha fatto indubitabilmente bingo, e l’ha fatto con una commedia. Nella casa è, come diciamo noi ggiovani, davvero tanta roba. Avvolta in una struttura teatrale che c’è ma non si vede (il copione è tratto da El chico de la última fila, pièce dello spagnolo Juan Mayorga), la storia dei turbamenti del giovane Claude (perfetto e inquietante Ernst Umhauer), che si introduce nella vita borghese del suo compagno di scuola Rapha (l’altrettanto notevole e allampanato Denis Ménochet) spinto dalla curiosità morbosa di come vive una famiglia “normale”, è forse il punto più alto della carriera del regista. Ozon mescola i generi e le carte, gioca con gli stereotipi, dissemina qua e là qualche lampo di genio (le opere esposte nella galleria d’arte), provoca e confonde il pubblico, si diverte a farlo parteggiare ora per l’impunito ragazzino ora per il mediocre nucleo familiare. Emmanuelle Seigner in versione casalinga-milf spiazza e illumina, la coppia Fabrice Luchini-Kristin Scott Thomas funziona a meraviglia. Finale forse un po’ debole.

mercoledì 8 maggio 2013

¿usted no habla español, verdad?


Un uomo di pochissime parole (Isaach De Bankolé), a cui è appena stata affidata una missione di cui non sa nulla, parte per la Spagna, va a Madrid, poi a Siviglia, quindi in un buco di culo di paesino, infine nel deserto. Prendendo due caffè alla volta, incontra al tavolo di un bar diversi bizzarri personaggi che, dopo poche battute, scambiano con lui una scatola di cerini. Tutte le volte che torna in albergo fa tai chi e cerca di non farsi trombare da una ragazzona che gira sempre nuda. Il colpo di scena finale si chiama Bill Murray. Non avete capito nulla? Forse neanch’io. The limits of control, ultimo Jim Jarmusch in ordine di tempo (2009) e ancora inedito in Italia, è tante cose insieme: un film dal gusto estetico impeccabile, uno spottone sulla Spagna, una divertita presa per i fondelli, una carrettata di star in vacanza (oltre a Murray, Tilda Swinton, John Hurt, Gael García Bernal, Hiam Abbass), una manciata di autocitazioni (Ghost dog, Coffee & cigarettes...), una costruzione geniale delle situazioni affogata in una trama che non si sa bene dove vada. Paz de la Huerta assolutamente da recuperare in Enter the void e Boardwalk Empire.

 

martedì 7 maggio 2013

a procurar la bella morte


In un periodo in cui si affoga tra commedie inutili e neanche gli Autori stanno troppo bene, a distanza di due settimane arrivano in sala due imperfetti quanto interessanti esordi alla regia di due attori italiani. Di Ratman abbiamo già parlato, oggi tocca al Miele di Valeria Golino. Che, come Lo Cascio, un po’ ci si rosola in questo primo film, come se ci volesse per forza mettere il tocco di minchiasonolautore. Però, insieme alla gratuita lunghezza di qualche scena e a un paio di evitabili banalità (la corsa in bici con la musica in crescendo...), è uno dei pochi limiti di una pellicola tosta su un argomento tosto: il suicidio assistito, con tutte le implicazioni umane, etiche, i dubbi, i rimorsi, le bugie, le incomprensioni, che la protagonista deve sobbarcarsi nel tentativo di avere una vita normale. Valore aggiunto: la Golino non fa battaglie, non prende posizione, non sbatte in faccia nessuna ideologia, si limita vivaddio a raccontare. Cecchi recita se stesso come sempre, e come sempre lo fa benissimo, Libero De Rienzo somiglia sempre più in modo inquietante a Nanni Moretti. Che Jasmine Trinca fosse brava l’ho già detto lì, qui è anche estremamente gnocca; merito di un taglio di capelli che sembra le abbia tolto quell’aria da figadilegno che non la dà a nessuno figurati a te. Inoltre i corpo a corpo con Vinicio Marchioni, sebbene brevissimi, sono piuttosto attizzanti: forse ci voleva lo sguardo di una donna per portare un po’ di eros nel cinema italiano.

lunedì 6 maggio 2013

ferro 3 (uomo di)


Se Iron Man fosse uno dei miei supereroi preferiti, sarei piuttosto incazzato. Perché il Mandarino, storico nemico del Nostro, qui è tutta un'altra cosa, una parodia, una marionetta. E mi fermo, per non spoilerare. Ma è come se Silver Surfer, triste e filosofico strepitoso eroe Marvel, diventasse un minchione in surf (come dite? è già successo ne I Fantastici Quattro e Silver Surfer? non l'ho visto, quindi non esiste). Ora, siccome Iron Man non è in cima alle mie godurie fumettare sorvolerò, sebbene la cosa crei un precedente mica da ridere (non so, è come se l'Uomo Ragno si innamorasse di Gwen Stacy solo nel reboot... come dite? è già successo? non l'ho visto, quindi non esiste). Comunque, parliamo di Iron Man 3. La cura agli attacchi di panico di Iron Man post Avengers sono le esplosioni, il bricolage elettronico ('nsomma) ma mai scopare con Gwyneth Paltrow o con la molto più appetibile Rebecca Hall. E poi c'è un bambino, simpatico come una ragade quando hai voglia di sesso anale. Cambia la regia (ma Jon Favreau è produttore esecutivo e si regala un'apparizione come sempre), ma non il prodotto: fico, divertente, avvincente ma non ficcante, con qualche buco di sceneggiatura, qualche battuta per pochi eletti e uno sprazzo di critica sociotelevisiva. Le cose più riuscite sono le interpretazioni di Robert Downey jr. e Ben Kingsley, i titoli di coda stile Seventies e il postfinale con Bruce Banner/Mark Ruffalo.

venerdì 3 maggio 2013

chemical sisters


Uh che freddo! No, non parlo delle temperature, anche perché tra un temporale e l'altro qui c'è anche un bel sole, ma dico del nuovo film di Steven Soderbergh. Effetti collaterali (that's incredible, traduzione letterale!) patisce anche probabilmente un doppiaggio che, soprattutto nella prima parte, grida vendetta, ma, a parte questo, c'è questo gelido distacco, come se il regista avesse detto agli attori «Bon, questo è il copione, fate vobis, purché tutti quanti siate un po' stronzi». Detto ciò potrebbe sembrare che non mi sia piaciuto. E invece no. Chi mi legge sa che penso che Soderbergh abbia la sindrome di Steven, che colpisce i registi capaci di ottimi film d'evasione che si impuntano a voler fare gli Autori ottenendo risultati molto discontinui. Però stavolta siamo a metà strada, il film funziona a ritmo alternato ma si fa piacere, la denuncia sociale (farmaci antidepressione come se piovesse) si stempera in giallo e si riesce persino a glissare su certi tòpoi vagamente e inaspettatamente reazionari (impossibile dire di più senza spoilerare). Il sesso è troppo americano, Catherine Zeta-Jones mortificata nel ruolo di psichiatra peppia è un delitto perfetto, Rooney Mara è bravissima, Channing Tatum e Jude Law fanno da contorno come i cetriolini nei piatti ipercalorici di New York.