giovedì 20 novembre 2014

la valigia sul letto, quella di un lungometraggio


Mentre preparo spazzolino, un numero imprecisato di numeri arretrati di Internazionale e un tot di calzini, mentre cerco inutilmente un ombrello piccolo piccolo (è prevista pioggia da mercoledì, esticazzi) e tolgo distrazioni a gatta (cinque mesi, l’età dei disastri), vi comunico che da domani sono al Torino Film Festival. Che quest’anno mi si scontra con il secondo livello del corso di shiatsu (ops, non vi ho detto che mi sono imbarcato in questa fantastica avventura? ne riparleremo). Ma noi uomini veri riusciamo a farci stare tutto, signora mia. Ché se tutto va bene vedo 26 film e tre corti. Tanto il lunedì dopo faccio un viaggio (?) di lavoro 48 ore a Trento. Arriverò al 3 dicembre che sarò morto. Nel caso ve lo comunicherò, così come vi parlerò dei capolavori e delle sòle del Tff grazie a un fantastico portatile. In programma ho Sion Sono, i cui pazzi film ho conosciuto proprio grazie al Tff, e Michel Houellebecq nel narcisistico ruolo di se stesso in un film che mi ero perso a Berlino. Tommy Lee Jones crepuscolarmente western (e te pareva) e Abramo Lincoln con i calzoni corti. Vampiri più cazzoni di quelli di Jarmusch e un’interminabile Bruno Dumont. Eleanor Rigby senza i Beatles e qualche sussulto erotico belga e inglese. Quelli di Boris e il Babadook che pare faccia tanta paura. Un documentario dell’ottima regista di Winter’s bone, Robert Pattinson stile Mad Max e l’ennesimo, ultimo Gandolfini. Voi però, se passate da queste parti, oltre a farmi un saluto godetevi senza indugio anche Nick Cave.

mercoledì 19 novembre 2014

studio aperto


Prima del post di poison non avevo idea di cosa fosse Lo sciacallo: quindi, se state leggendo questa recensione, sappiatelo, è colpa sua. Comunque, guardando il manifesto avevo capito due cose. Primo, non era un film dedicato a Nightcrawler degli X-Men, che di per sé è un po’ un peccato, perché l’ho sempre trovato un personaggio particolare, adorabile e piuttosto poco considerato. Secondo, ha ragione Makkox: ormai, se non dimagrisci o ingrassi per un film, a Hollywood non ti si fila nessuno. E Jake Gyllenhal (bravo) ha perso dieci chili per fare il protagonista. E fa un disoccupato, ladro, nerd, che parla come un libro stampato, s’improvvisa telereporter ed è psicopatico. E pensa te, nel mucchio è quasi il meno peggio. Ha solo capito cosa piace alla ggente: la ggente vogliono il sangue, specie a colazione. Tra due uova al bacon e un caffè lungo, molto lungo, pure troppo, vuoi che il ministro della paura… ehm, la tv non ti mostri un po’ di morti ammazzati, ovviamente bravi cristiani bianchi e benestanti, ovviamente uccisi barbaramente da pezzi di merda di un qualche colore? Lo sa bene quella milfona di Rene Russo che, ad ogni ripresa sanguinolenta per la sua tv, sgancia una bella cifra allo psicopatico. Insomma, lo so, è difficile da immaginare in Italia… Non la macelleria al tg, ovviamente, il difficile è che sgancino cifre così alte! Comunque il film ti prende. Ti fa incazzare. Ti tiene incollato. Ma ti aspetti sempre che da un momento all’altro prenda il volo, imbocchi una tangente imprevista, sorprenda. E invece scorre, va, felice verso uno psicopatico e ovvio happy end per il cattivissimo lui, in barba a una poliziotta simil LaGuerta di Dexter.

martedì 18 novembre 2014

niccolò chi?


Insomma, mentre il film andava pensavo anche a questo. Cioè tu muori, ti scoprono, ti riscoprono, capiscono che non sei la piaga che ci hanno propinato a scuola, e un Tommaseo qualsiasi che ti perculava, che era colto sì, ma noioso come un feretro e attaccato alle tonache dei preti come un rosario, ormai viene buono giusto per nominare qualche vecchio liceo. Il giovane favoloso, seconda opera storica di Mario Martone, ha gli stessi pregi e difetti di Noi credevamo: lungo, troppo. A tratti didascalico e a volte, come il Pasolini di Ferrara, destinato invece a chi le cose le sa e in culo a tutti gli altri. E i cameo, troppi, un po’ ingiustificati: mancano Cecchi, Timi e Servillo, e poi c’è tutto il meglio del teatro italiano che dice anche solo una battuta. Eppure restano momenti memorabili. E un Elio Germano perfetto Giacomo Leopardi, molto più misurato rispetto allo starnazzante Pinocchio del trailer.

lunedì 17 novembre 2014

mi ricordo che in futuro sarò pieno di ricordi


Quando mi sono commosso allo sguardo di Matthew McConaughey nella scena in cui Michael Caine dice «Noi siamo la Nasa», ho avuto la sensazione che avrei pianto come un vitello per altre due ore e passa. Che, insomma, se fai un lavoro che non ti piace e ti dicono che, beh, potresti tornare a fare quello che ti piace, magari ti emozioni. Un po’ come se mi dicessero «Sai, puoi andare in pensione domani guadagnando più di adesso». Beh, comunque a me Interstellar è piaciuto. Non penso sia il capolavoro di cui ciancia qualcuno, né la merda di cui borbotta qualcun altro. È la dimostrazione che Christopher Nolan, cavaliere oscuro a parte (dai, picchiatemi!), è un ottimo narratore e ha dei ritmi che il film potrebbe durare quattro ore e tu gnanca un plissé. Anzi, per due terzi si tratta di un ottimo film, che mette quintali di carne al fuoco come al barbecue di ferragosto, pone problematiche serie ma ti balocca come un blockbuster. Poi piscia un po’ fuori dal vaso, rimbalza qua e là proprio come McConaughey (spoiler?), e fai fatica. Ma risorge sul finalone che, per quanto tirato per i capelli, resta un finalone. Posso dire altro senza sputtanare la trama? No, ovviamente. Andate, divertitevi e fatevi poche seghe mentali.

P.S.: sì, lo so, sono tornato. Ringrazio i ragazzi che mi hanno scritto un po’ preoccupati. A qualcuno ho risposto, ad altri no e un po’ mi dispiace. Ma è stato un periodo complicato. Sarò al Torino Film Festival e, se recupero un portatile, vi illuminerò sulle ultimissime. E mò basta, sennò il p.s. diventa più lungo del post.