mercoledì 25 marzo 2015

faccio cose, vedo gente


Dice: che fine ha fatto Dantès? Sto qui, solo che è più semplice e rapido commentare che scrivere. Sono pieno di lavoro fin sopra i capelli, anche quelli che non ci sono più da 25 anni. Nel frattempo ho ritrovato un amico, sfregiato la fronte, finito il terzo livello di shiatsu (adesso posso cominciare a praticare, tra l’altro), visto un tot di film, pensato alle prossime vacanze. Di Foxcatcher e Una nuova amica la poison ha scritto esattamente quello che avrei detto io. No, non è del tutto vero. A me Channing Tatum è piaciuto molto. E la bionda sciapa del film di Ozon è davvero poco credibile come gnocca preferibile alla roscia che fa tanto tanto più sesso. Dice: gentlemen prefer blondes. Mah. Io comunque ci sono. E appena ho due minuti di tempo vi parlo anche d’altro. Adesso scusate, ho una cassetta… no, un file, beh insomma una registrazione da trascrivere. Più o meno. Cheppalle.

mercoledì 11 marzo 2015

l’imprevedibile virtù della perseveranza


Si sa, sono curioso. E Al Pacino… beh, non ne ho una venerazione come qualcuno che passa talvolta da queste parti, ma mi è sempre piaciuto. Barry Levinson è uno di quei registi da “solido cinema classico” che mi ha spesso dato soddisfazione, Philip Roth è uno dei miei romanzieri americani preferiti. Potevo chiedere di più? Così ieri sera ho visto The humbling. Che ha un solo, grosso difetto: è stato girato più o meno nello stesso periodo ed è uscito appena un mese dopo l’acclamato Birdman. Ed è stato più o meno massacrato da tutti. Ingiustamente. Perché tutti si sono messi a far confronti, visto che si parla in entrambi di teatro. Che poi, a dirla tutta, i primi dieci minuti di The humbling (che, ripeto, è tratto da L’umiliazione, scritto nel 2010) e il finale, beh, ricordano un po’ certe cose che ci sono anche nel film di Iñárritu. Certo, a Levinson non importa che si sbavi dietro la sua tecnica: un artigiano non ha bisogno di effetti speciali per stupire, stupisce con quello che ha. E quello che ha è un romanzo con tutte le ossessioni di Roth: l’esplorazione della sessualità, la passione per le donne giovani, la paura della vecchiaia, della morte, dell’oblio. E il film è divertente, tragico, con qualche battuta memorabile e alcune sequenze davvero riuscite (la scena dal veterinario, le istruzioni per la pulizia dei dildo, quella - tristissima - della sala d’attesa). Pacino è splendido, Greta Gerwig (ah ah, proprio quella Frances là) da il meglio di sé, Dianne Wiest ha un piccolo ruolo notevole, Shakespeare e il suo Re Lear sono una sorta di coro greco, meglio di una voce fuori campo. Non siamo dalle parti del capolavoro, neanche annunciato: solo un buon film che difficilmente troverà la strada della nostra distribuzione.

martedì 3 marzo 2015

la grande abbuffata


La prima notizia è che io, poison e la Bionda siamo andati al cinema insieme dopo un sacco di tempo. La Tiz non pervenuta, ma l’abbiamo pensata durante le voci fuori campo, che lei detesta. E anch’io, teoricamente, ma dipende. Tipo in Blade runner, sono fondamentali. Generalmente, un buon noir, che sia ambientato negli anni Cinquanta o in qualche secolo a venire, ha, per una strana legge non scritta, bisogno della voce fuori campo. Tuttavia, Vizio di forma (in realtà Inherent vice, Vizio intrinseco) ha tra i suoi (pochi) vizi di forma proprio la voce fuori campo: troppo letteraria. Certe cose se le leggi sono bellissime, se le ascolti durante un film ti dici «boh!». Poi ci sono mille miliardi di personaggi: all’ingresso dovrebbero munirti di un bloc notes, una matita e un tot di canne già pronte. Tante, che la durata del film è 150 minuti. E poi, onestamente, ti viene voglia, un po’ come quando nei film sono tutti alcolisti: esci che senti già sulla punta della lingua il caldo pizzicore del whisky che correrai a bere. Detto questo, potreste pensare che il film di Paul Thomas Anderson non mi sia piaciuto. E non avete capito niente. Come dire che, siccome Shasta (Katherine Waterston e le sue tette Seventies) viene considerata vizio intrinseco, non la fanno salire sulla barca. E invece sale. Cosa fa, non lo sapremo mai. Ma è così importante? Il film (non so del romanzo di Thomas Pynchon, però sono curioso di leggerlo) è sì bulimico, eccessivo in ogni aspetto, tanto, pure troppo. Ma è una gioia per gli occhietti santi di chiunque. È Philip Marlowe e Paura e delirio a Las Vegas insieme. È tanto divertente. Ha una grande colonna sonora. E ha un cast spettacolare: Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Reese Witherspoon, Benicio del Toro, Eric Roberts, persino Martin Short (ma dove l’hanno ripescato? ah, è invecchiato malissimo).