sabato 31 maggio 2014

nuovi scampoli d'assenza


Ebbene sì, a quest’ora sono già in aereo, destinazione Kos. Potrei inventarmi mille storie per motivare la scelta, ma vi dirò la verità: tra i posti di mare non ancora visitati, era quello più economico da raggiungere. Starò via una settimana, ma non strappatevi i capelli: da martedì arriveranno comunque nuovi post già pronti. Si parlerà di suore polacche, di ballerine fallimentari, di coppie che nascono e forse muoiono. A pensarci, un filo sottile (che non è il Torino Film Festival) lega le tre pellicole: a voi scoprirlo. Per il momento, si vola.

venerdì 30 maggio 2014

play the game


Sempre da un'idea del cannibale (ormai è peggio di Carlo Conti, solo meno abbronzato), un'ennesima idea di classifica che riguarda i giochi con cui si è cresciuti. E poiché (si sappia) anche Dantès è stato gggiovane, ecco il mio elenco, più o meno cronologico. 

Lego
Del mio rapporto con le costruzioni ho già parlato qui. Quando da operaio mi trasformai in dio, le cose andarono molto meglio e mi divertii un sacco. Mescolando i Lego, i Playmobil, qualche pezzo scrauso avanzato da chissà che gioco o che bancarella. Fico. 


Big Jim 
Il classico dei classici. Avevo un sacco di roba: i suoi amici che sembravano usciti da un video dei Village People, i suoi nemici (anche la versione bipolare che mi piaceva tanto...), la roulotte, persino l'elicottero che, se schiacciavi una leva, l'elica ruotava. Poi arrivarono gli anni Ottanta e G.I. Joe. E io misi una croce sopra la Mattel.

Trasferelli
Devo ancora fare un'autocitazione, vecchissima, di quando stavo ancora sull'altro blog. Copio e incollo: «Applicando in modo diverso quelle figurine, volendo, avrei anche potuto far vincere i giapu. Non so, ma in tutto questo, da qualche parte, credo ci sia una morale».



Paroliamo
Telemontecarlo, quand'ero bambino, potevo vederla solo quando andavo da mio fratello a Milano. Ai tempi era davvero monegasca, i programmi erano un po' in italiano, un po' in francese, dominava Lea Pericoli, ex tennista convertita con successo alla tv. Chi faceva la parola più lunga vinceva. Mi feci regalare il gioco. Ruzzle non era neanche un'utopia.

Pinnacola
Non amo i giochi con le carte, ma c'è stato un periodo in cui la sera, complice l'attuale marito di mia sorella, non si faceva altro, magari buttando un occhio distratto alla tv. E l'occhio distratto a volte faceva guai. O io avevo culo, chissà.




Space invaders
Mio fratello, sempre quello di Milano (solo uno ne ho!), aveva una consolle di quelle storiche, che era già vecchia quando iniziai a pistolarci. Oggi quel giochino fa ridere, eppure aveva un fascino irresistibile. Ma con l'audio basso, ché quando le astronavi scendevano e il suono aumentava d'intensità, avrei volentieri dato una testata al muro.

Pinbo
C'è stato un breve periodo della mia tarda adolescenza in cui, complice il mio amico F., frequentavo regolarmente una sala giochi. Ricordo l'odore, probabilmente la colonia del proprietario. Ricordo che lì conobbi una delle più cocenti delusioni d'amore. Ricordo che ci rimasi malissimo quando il locale chiuse per fare posto a un negozio di surgelati. Ah già, il Pinbo: un videogioco travestito da flipper con dentro tanti videogiochi, o forse viceversa. Una droga.



Scarabeo
I giochi con le parole mi sono sempre piaciuti. E, anche all'epoca, Ruzzle non era neanche immaginabile. Ero piuttosto bravo e adoravo aggiungere lettere a parole scrause di altri, facendo un botto di punti alla faccia loro.






Trivial pursuit
Vabbè, di geografia non ne azzeccavo una. E, se sapevo una risposta, mi facevo prendere dalla fretta e non facevo finire la domanda. A volte me la davano per buona, altre volte m'attaccavo. E cercavo sempre di finire sulla domanda di spettacolo.




Broken sword
Scoperto anche questo grazie al mio amico F., il secondo capitolo delle avventure di George Stobbart e Nicole Collard l'ho vissuto con grande coinvolgimento e matte risate con la scena del venditore di kebab. Poi passai al capitolo uno e, di recente, ho acquistato l'ultimissimo gioco destinato all'iPhone: non l'ho ancora iniziato, forse temo un po' la delusione.

giovedì 29 maggio 2014

tutti gli uomini del conte


Non so se sia stato davvero uno dei film più applauditi della Berlinale, ma di quelli che ho visto io sicuramente sì, e se l'è giocata con lo straordinario Kreuzweg. In più, oltre agli applausi, tante risate, liberatorie e meritate: parlo di In ordine di sparizione (Kraftidioten, ma per una volta il titolo internazionale calza a pennello). Una piccola perla di humour nero che parla scandinavo (è una coproduzione tra Svezia e Norvegia), diretta da Hans Petter Moland e chissà come in uscita da oggi nei cinema italiani grazie alla Teodora Film. Lo so, vi diranno che le muse ispiratrici si chiamano Tarantino, Kitano, persino i Coen (se c'è almeno un morto e la neve, ormai si pensa a Fargo): tutto vero, ma condito con quell'umorismo e quel razionalismo che fa tanto Nord Europa. C'è un omino (beh, insomma, è pur sempre Stellan Skarsgård), stimato da tutti e innocuo che non farebbe male a una mosca, cui uccidono il figlio. E lui naturalmente decide di vendicarsi ammazzando tutti i tirapiedi di un boss straricco e straviziato (il bravissimo Päl Sverre Hagen). Certo la parte finale (con un divertente e divertito Bruno Ganz in versione serba) non è proprio credibilissima, ma non ci si annoia neanche un minuto. E si ride, tanto.

mercoledì 28 maggio 2014

e poi dritto fino al mattino


Non capisco. Davvero, giuro. La sufficienza con cui è stato accolto il nuovo film di David Cronenberg (tanto Cronenberg, stavolta, micacazzi) mi ha lasciato davvero sorpreso. Perché io e la ms ne siamo usciti piuttosto conquistati. Mi è venuto in mente Altman, ovviamente, e i suoi film corali, ma con in più la crudezza, la crudeltà e le situazioni malate cui il regista canadese ci ha abituati. E poi mi è venuto in mente eXistenZ. Dici: che c'entra? C'entra, perché se eXistenZ era la versione povera ma geniale di Matrix, Maps to the stars (tradurre no, eh?) è la versione intelligente e a tratti geniale di The canyons. Stesso tema (Hollywood, la sua decadenza, i suoi disastri), ma tutt'altra caratura. Comunque una perla, destinata come pare all'incomprensione, un po' come Cosmopolis. Con la differenza che Cosmopolis se la tirava a mille, mentre qui... beh, no. A trovargli un difetto, la parte finale è quasi tirata via, come se la chiusura del cerchio non potesse più aspettare. Carrie Fisher, irriconoscibile, che come un'ancella “realmente” carica di significati (la droga, il rapporto difficile con la madre) conduce la giovane protagonista (una impeccabile Mia Wasikowska) alla tormentata (e giustamente premiata) Julianne Moore, è una finezza che sa di bisturi. John Cusack finalmente torna a un ruolo degno. La poesia di Paul Éluard, ripetuta come un mantra, denuncia fino alla nausea l'ossessiva, inutile tentazione di libertà che ormai è solo una parola. Il divieto ai minori, immagino (non saprei cos'altro), è colpa di un cazzo moscio: la solita tristezza italiana.

martedì 27 maggio 2014

gli occhi, la bocca


Ora dico una cosa senza ombra di ironia, giuro. Tra l'altro l'ho pensata qualche mese fa, guardando Irreversible: Monica Bellucci sarebbe stata una grande diva del muto. Non scherzo. Pensate alla scena in metrò, togliete l'audio, guardate i suoi occhi, le sue mani, le sue smorfie: perfetta. Così come nella terribile e interminabile scena della violenza: pazzesca. Ecco, un altro momento così c'è ne Le meraviglie: sul traghetto, quando si toglie la parrucca, il trucco è mezzo andato, e mostra le sue rughe da milfissima stanca che ha solo voglia di togliersi le scarpe e dormire, ma invece chiama la ragazzina protagonista e la accoglie a sé come una chioccia col pulcino. Ora, guardatele gli occhi, l'espressione del viso: questa è una delle scene del film di Alice Rohrwacher che ti fanno dire «cazzosì!». Tuttavia non è così rose e fiori quest'opera seconda che ha conquistato in modo francamente eccessivo la giuria di Cannes (è un caso che mi abbia ricordato Respiro di Crialese, su cui avevo avuto le stesse perplessità e che vinse il medesimo premio nel 2002?). Se è vero che il cast funziona alla perfezione, è la storia che alla fine risulta poco incisiva: il romanzo di formazione di Gelsomina (Maria Alexandra Lungu), adolescente degli anni Novanta che adora Ambra e si fa conquistare dalla tv spazzatura che tutto pialla e tutto annulla, ma che è succuba come il resto della famiglia di un padre orso che pensava di trovare la libertà facendo l'apicoltore e invece si scontra con il muro di gomma della burocrazia, avrebbe forse guadagnato tanto con un po' meno di visionarietà e un po' meno bucolicità. Se non l'avete fatto, rivedetevi l'esordio della Rohrwacher, quello sì cazzutissimo: Corpo celeste, mi era piaciuto tanto.

domenica 25 maggio 2014

trenta centimetri di dimensione artistica


Ancora una volta le celebrazioni tra blogger mi permettono di recuperare un titolo dimenticato, mancato o, in questo caso, all'epoca stupidamente ignorato. Sì, perché Boogie nights è gioia per gli occhi quasi per tutti i suoi 150 minuti. Dico quasi perché la repentina equazione Seventies:gioia=Eighties:merda è, sebbene comprensibile e in parte veritiera, un po' tirata via a metà film, quasi fosse una didascalia durante l'intervallo tra il primo e il secondo tempo. Detto ciò, l'opera seconda di Paul Thomas Anderson, regista che da queste parti si ama ma di cui, ahimè, non ho mai parlato, è uno spettacolo. Mescolando con arguzia un po' di storie del mondo del porno dell'età d'oro (il protagonista, dotazione a parte, non ha poi molto a che vedere con John Holmes), e mettendo insieme un cast eccezionale (dalla scoperta di un bravissimo Mark Wahlberg al redivivo e sempre splendido Burt Reynolds, da Julianne Moore a John C. Reilly passando per Don Cheadle, William H. Macy e un eccellente Philip Seymour Hoffman in versione checca disperata), il regista, privo dei soliti americanissimi moralismi del cazzo, gira da dio ricreando perfettamente il clima di quegli anni, mostrando splendori e miserie di un mondo che, così com'era, non esiste più da un pezzo. Molte le sequenze d'antologia, da quella della sala di incisione all'irresistibile virata pulp dell'ultima parte.


Ed ecco di seguito l'elenco di tutti gli altri blogger che sono cimentati con i film ambientati nei favolosi anni Settanta:


venerdì 23 maggio 2014

celo, celo, manca


Una storia ben scritta, non c'è che dire, e alcune sequenze funzionano eccome, come quella a tavola. Un argomento importante che, se fa incazzare qualcuno, vuol dire che ha colpito il cuore del problema. Attori in gran forma, dal cupissimo Claudio Santamaria a un'Isabella Ferrari sempre più brava, fino alla sorpresa (ma mica tanto, me l'aspettavo) di Marco Travaglio incorruttibile per finta. Ma Il venditore di medicine, ispirato a fatti realmente accaduti e ambientato nel mondo equivoco delle case farmaceutiche, ha una grande pecca: la regia. Dispiace quasi dirlo, ma Antonio Morabito manca quasi tutti i tempi. Forse è una scelta stilistica quella di “arrivare in ritardo”, ma non funziona, e spesso fa incazzare. Almeno me.

martedì 20 maggio 2014

the disappointing spiderman


In principio fu l'Uomo Ragno: ve l'ho già detto, vero? La mia passione Marvel nacque lì. Ero così innamorato che guardai anche i pessimi film poveri della fine degli anni Settanta. Facevano così cacare che, la serie tv che ne derivò, in Italia non la acquistò nessuno, nemmeno quello sventurato che pagò per avere L'incredibile Hulk con Lou Ferrigno. Millemila anni e dollari dopo arrivò Sam Raimi e fu amore folle, con l'arrampicamuri che si lanciava da un grattacielo all'altro proprio come nei cartoon. Poi, dopo il terzo, ridicolo capitolo in cui era piombata la serie, arrivò il rebuttanitoma' (trad. reboot di quella zoccola di tua madre). Al posto del mitico Raimi, Marc 500giorninsiemassorete Webb. Al posto di Tobey Maguire, che finalmente aveva trovato un senso nel mondo, Andrew Garfield (che io ho dovuto cercare su google). Al posto della storia classica mutilata per esigenze di spazio/tempo, uno strano misto di classico e ultimate (ah, se avessi sotto mano l'ideatore delle serie Ultimate!) e una melassa adolescenziale che neanche nei peggiori teenmovies anni Ottanta. E questo fu il primo capitolo, che ho visto solo di recente per prepararmi al sequel. Sequel che, vivaddio, funziona molto meglio. Accantonati un po' gli ormoni adolescenziali, la storia prende respiro e profondità. Tuttavia, l'idea di accontentare tutti, come sempre, scontenta la maggioranza. Il mix funziona a fasi alterne, e francamente non si capisce come in tutto questo possa trovare posto l'umorismo basic dell'Uomo Ragno degli esordi. La morte di Gwen Stacy (evviva, ci siamo tolti dai coglioni Emma Stone!), telefonatissima per chi sa la storia e sorpresona per chi la ignora, è molto ben costruita, ma resta davvero indigesta una serie di trovate incomprensibili o inutilmente ironiche (?!?): la suoneria del cellulare, il caricaturale scienziato tedesco che sembra il professor Krantz di Paolo Villaggio, l'inutilizzo di un personaggio come J.J. Jameson, la nascita di Goblin così di punto in bianco come se Harry Osborne non avesse mai fatto altro nella vita, la pelle nera di Electro (un disadattato Jamie Foxx col riporto, che due coglioni 'sta cosa che ci dev'essere sempre uno di colore!) e Rhino (povero Paul Giamatti...) che parla russo come un Ivan Drago sfigato e sembra un trasformer. Insomma nessuna promozione, Amazing Spiderman rimandato in attesa dei Sinistri Sei. Ah, non occorre aspettare la fine dei titoli di coda: c'è solo uno spottone del nuovo X-Men.

lunedì 19 maggio 2014

ma dove cazzo andavano tutte quelle auto della polizia?


Post impopolare anche questa settimana, avrebbe detto il buon Paolo Valenti. Come chi è? Madonna se siete giovani! Vabbè, parlo con te, poison. No, non volevo dire che sei vecchia! Uh, come sei suscettibile, santa Maria Luisa Ciccone... Ehm, ma che davero davero t'è piaciuto Locke? Con la ms in trasferta casereccia e l'unz unz del venerdì da aperitivo come inutile richiamo, ho deciso di darmi all'osannato film di Steven Knight. Che è lo sceneggiatore di Piccoli affari sporchi e La promessa dell'assassino, che sono due film che ho adorato. Ma. Mentre fuori si brigittebardottava allegramente, nella sala del bdcdP eravamo in due. L'altro era un anzianotto che per i primi dieci minuti ha mangiato popcorn. Che dici: non fanno rumore. E quello zighizighi tra i denti che è, secondo te? Ok, parliamo del film. Un uomo in auto che per 85 minuti parla al telefono. Con la moglie, i figli, la donna da cui sta per avere un figlio, l'uomo che lo sostituirà in un lavoro fondamentale la mattina dopo, il capo. Una sfida, anche molto bella sulla carta. E Tom Hardy, unico attore in scena, se la cava proprio bene. È la storia, quasi quacchera nel suo martellamento etico delle gonadi, che lascia perplessi. E con i personaggi, tutti così presi da se stessi, si crea più o meno la stessa empatia che si potrebbe provare per un'emorroide a grappolo nel giorno più caldo dell'anno. Per un'ora e venticinque ci si aspetta il botto, un improvviso coup de théâtre, e invece no, nulla. Così vanno le cose, così devono andare, cantavano i Csi: forse è per questo che Giovanni Lindo Ferretti ha fatto la fine che ha fatto. Nota suppletiva sul doppiaggio: so che era difficile, ma secondo me fa abbastanza schifo.

mercoledì 14 maggio 2014

bello 'o salone, si se putesse vede'


E che ci posso fare? A me il film FF.SS., cioè Che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? ha sempre divertito un sacco, e la battuta di Arbore che ha ispirato il titolo del post la parafraso continuamente. Perché c'è sempre qualcosa che sarebbe bello, se si potesse vedere. Tipo il Salone del Libro di Torino, dove mi tocca lavorare un paio di giorni l'anno: e mi diverto pure, se non fosse che non ne vedo una beata fava. Così, più che altro, l'ho sbirciato. E vi dirò: con 'sta cosa del Vaticano paese ospite, c'erano più preti che in un film di Fellini. E, tanto per dire come stiamo messi, il gadget dell'anno era la corona di carta con sopra Peppa Pig che spopolava fra i teenager (ggiuro!). Per non parlare della signora russa che presidiava lo stand della Regione Sicilia e che ha tentato di convincermi che quello che si dice di Putin è tutto falso. Poi c'erano i cosplayer: una ragazzina bellissima (non chiedetemi l'età, è meglio) era vestita da Uomo Ragno ma aveva meno tette. Quest'anno il mio parco vips ha contemplato tutti quelli che avrei anche fatto a meno di vedere: Paolo Mieli; Geppy Cucciari (che pure mi sta molto simpatica) che se è dimagrita così tanto con il purgante della Marcuzzi compriamocelo tutti!!!; Andrea Vianello, che mi ha decantato le qualità culinarie (niente battute!) della moglie. Per il resto, un po' di puzza di scarico dovuta al passaggio di Sgarbi e Ferrara. Benni, Guccini, il Principe, Fossati: non pervenuti, mannaggiammé. Poi però domenica mattina mi sono goduto Loretta Goggi. Che è il mito camp della mia parte bisexcheadoracertemilf. Nel senso che non solo ero tentato di comprarne l'autobiografia, ma anche che quella donna mi piace proprio fisicamente, nonostante l'età. La risata contagiosa, il suo umorismo a dispetto delle ultime batoste, il ricordo di quella passeggiata insieme dietro le quinte di My fair lady una quindicina d'anni fa («Perché non torna a cantare?» «Ma io canto sempre, sotto la doccia»), me la fanno adorare. Bella Loretta, che se po' vede'.

martedì 13 maggio 2014

zucchero e catrame


E, come dire, il weekend se n'è andato. Un po' a merengue, come direbbe quell'adorabile donna lì, un po' a ramengo, come si dice in quella città per la quale ho smesso di giustificarmi come nel mitico pezzo tragicomico di Paolo Rossi: Milano. Dici: che c'entra? C'entra, perché sabato, come un bambino che si aspetta il lunapark, sono andato con la ms alla mostra di Bruno Munari al Museo del Novecento. Una mostra che, se Munari fosse vivo, gli verrebbe uno sciupun: secco, definitivo, taàc. Perché non puoi rinchiudere un genio che ha fatto dell'interattività una forma d'arte in vetrine sigillate e gabbie di dubbio gusto arancione. Perché io posso anche non sapere un cazzo del signor Munari Bruno e, quindi, ho il diritto di leggere una scheda biografica e avere informazioni che non siano seghe mentali di uno che vuole fare il primo della classe. Munari era gioco, era genio, era il futurismo spiegato ai bambini e agli adulti che si sentivano tali (no, non eterni adolescenti, non cretini vestiti da idioti, proprio bambini dentro, con ancora l'emozione viva della scoperta e del gioco). Di questo, nella mostra c'è poco o nulla. E mi sono tornati alla mente i festeggiamenti per i 90 anni del Maestro, alla Triennale: pazienza fosse sindaco l'Albertina, quella sì che era una festa per gli occhi! E allora ho detto alla ms: beh, però al bucsciòp ci saranno i “libri illeggibili” che sono una figata, dai che li sfogliamo! E invece ce n'erano sì e no tre. Delusi, prima di prendere il treno abbiamo azzardato, vista la desolazione di Porta Garibaldi, di portarci via una birra da corso Como: impossibile, senza sedersi in piena movida quasi non ancora sfatta. E loolapaloosa (o lupamalupa?) ormai mi fa venire in mente sono la canzone degli Elii.

venerdì 9 maggio 2014

the reader


Come promesso, dopo i film e i fumetti, ecco la lista dei romanzi con cui sono cresciuto, quelli che hanno maggiormente contribuito a farmi diventare quello che sono (così sapete con chi prendervela). Ci ho messo un po’ (’ste liste sono faticose, signora mia!), però mi piaceva l’idea di pubblicarla mentre a Torino è in corso il Salone del Libro. L’ordine, più o meno, è cronologico.


Trilogia del capitano Nemo
Jules Verne e i suoi romanzi d’avventura venati da quel pizzico di fantascienza e di esotico sono stati un mito per la mia infanzia. E, da bravo feticista del libro, ricordo ancora il profumo di quei tomoni Mursia corpo 14 con le illustrazioni ogni 32 pagine.








Il giallo per ragazzi
Questa collana davvero ce la ricordiamo solo io e il Bradipo, anche se avevamo gusti abbastanza diversi: i miei preferiti erano Rossana, i Tre Investigatori e i Pimlico Boys. Li ho letti quasi tutti e, come un piciu, li ho dati via per fare posto ai libri “per adulti”. Ne parlai già qui.






Agatha Christie
Anche in questo caso non posso indicare un singolo titolo: c’è stato un periodo della mia prima adolescenza in cui non leggevo quasi altro. Amavo soprattutto Poirot, ma non mi dispiaceva miss Marple: mentre leggevo, i due avevano ovviamente le fattezze di Peter Ustinov e Margaret Rutherford.







L’amante di Lady Chatterley
Primo romanzo adulto non di genere? Può darsi. Di sicuro primo romanzo per adulti, trafugato dalla stanza delle mie sorelle: lo sapevano? boh, se sì fecero finta di non saperlo. Me lo ricordo poco, non mi eccitò (ma è un problema tra me e i libri), però mi piacque.






L’ombra dello scorpione
Un tomone gigantesco finito in cinque giorni d’estate. Il miglior Stephen King che avessi mai letto fino a quel momento. E, come è accaduto anche in seguito con il Re, partendo (per via della trama) da aspettative non molto alte sulla qualità della storia.







Cent’anni di solitudine
Insieme a L'amore ai tempi del colera, il mio preferito di García Márquez. Non mi importava perdermi in quei nomi tutti uguali, quegli alberi genealogici quasi biblici: mi affascinava la storia e, forse soprattutto, il modo in cui era raccontata.






Madre notte
Ricordo come l'ho scoperto, per caso, parecchi anni fa: una vecchia copia (credo la prima edizione italiana) che qualcuno aveva regalato a mio padre. Ne raccontai qui. Amore a prima vista per Kurt Vonnegut, autore all'epoca totalmente sconosciuto nel nostro Paese. Geniale, come sempre.








Cinema tedesco: dal Gabinetto del dott. Caligari a Hitler, 1918-1933
Come fosse arrivato nella nostra libreria quel volumetto vecchiotto (anche lì, una delle prime edizioni italiane) non so. Ma avevo il trip degli espressionisti tedeschi che andavo a guardare al Goethe Institut col mio amico F. e lo lessi d'un fiato. Merito della scrittura piacevolissima di Siegfrid Kracauer.



L’insostenibile leggerezza dell’essere
Poiché cominciavo già all’epoca a essere un po’ snob, decisi di leggerlo solo prima di vedere la (buona) trasposizione cinematografica. Fu folgorazione. Come mescol(av)a narrativa e “altro” Milan Kundera, oggi, forse, non c’è nessuno.








Il conte di Montecristo
Ci sarà mica bisogno di spiegarlo? Vabbè, come scrissi nel primo post di questo blog, il romanzo di Dumas è uno dei miei libri della vita, perché tutti sogniamo prima o poi di fuggire dalla nostra If personale, trovare una Montecristo in cui rinascere, quindi tornare belli ricchi e spietati a far danni.

giovedì 8 maggio 2014

quando l’ursus si chiamava urss


Il film italiano più interessante dell’ultimo Torino Film Festival è da ieri nei cinema di Milano e Bologna, più qualche altra sala a capocchia qua e là (il calendario in aggiornamento lo trovate qui). È un documentario (ma quanto li facciamo bene i documentari da un po’ di tempo a questa parte?) e si intitola Il treno va a Mosca: vi ho sufficientemente demotivati? E invece sbagliate, perché merita. Nel 1957, un gruppetto di comunisti di un piccolo paese della Romagna realizza il sogno di partire per l’Unione Sovietica. Selezionando 70 minuti da 40 rullini di filmati 8mm, Federico Ferrone e Michele Manzolini raccontano la forza dell’ideologia, l’illusione e l’allarmata delusione di chi si aspettava la grande madre Russia e si ritrovò (anche) tra oppressione e povertà. Eccellente il montaggio di Sara Fgaier, di cui avevamo già apprezzato l’ottimo lavoro ne La bocca del lupo. Aprono e chiudono il film la voce e il volto di Sauro Ravaglia, il barbiere oggi splendido ottantenne cui si deve la maggior parte delle immagini.

mercoledì 7 maggio 2014

eri così carino, proprio un amore di ragazzino


Nell’anno in cui il Tglff è stato dedicato al mondo dei giovani, il premio del pubblico non poteva che andare a Hoje eu quero voltar sozinho del brasiliano Daniel Ribeiro, già vincitore del Teddy Award a Berlino. Mah. Film grazioso, nulla da dire. Fresco, come i tre protagonisti, Fabio Audi, Tess Amorim e, soprattutto, Ghilherme Lobo. Ma mi pare pochino. Perché la storia di Leonardo, adolescente cieco che sogna l’indipendenza da una madre oppressiva e si innamora – non subito ricambiato - del nuovo arrivato a scuola, sfiora tanti temi (handicap, bullismo, prime pulsioni sessuali di noi gggiovani) ma usa una mano troppo leggera, consolatoria. E se l’ultima scena strappa un applauso meritato, l’insieme lascia un po’ così. Ha un distributore italiano, ma non si conosce ancora la data d'uscita.

martedì 6 maggio 2014

sette personaggi in cerca di sesso


Premiato al Milano Film Festival e visto qualche giorno fa al Tglff, Les rencontres d'après minuit è uno strano oggetto che lì per lì sembra una cosa e poi scopri che è tutt’altro. La storia è quella di quattro sconosciuti che si riuniscono per un’orgia a casa di un curioso trio composto da Ali, Mathias, e il/la loro domestico/a Udo. O perlomeno questo ci racconta la sinossi. Poi scopri che, per il regista, l’esordiente Yann Gonzalez, questa è la versione hard di Breakfast club. Alle atmosfere oniriche e “cartonate”, così come all’umorismo surreale e un po’ greve della parte iniziale, si sostituiscono, con toni a volte divertenti a volte drammatici, le confessioni dei singoli personaggi, finché non scopriamo, come in un Tim Burton per adulti, cosa spinga Ali e Mathias a cercare nuovi compagni per le loro orge (no, non sono vampiri, anche se in certi momenti mi è venuto in mente l’ultimo Jarmusch). Insomma, alla fine il film fa il suo porco lavoro, funziona, e si fa perdonare qualche eccesso. Merito anche degli attori, dalla splendida e algida coppia costituita da Kate Moran e Niels Schneider allo spassoso travesta Nicolas Maury, dal giovanissimo Alain-Fabien Delon (il figlio bello di Alain) alla milf Fabienne Babe, fino al cameo di una Béatrice Dalle sempre più fuori di testa. Un discorso a parte per Eric Cantona che, nel ruolo del superdotato, dà vita a uno dei personaggi più riusciti e credibili: la scena in cui racconta la sua storia è divertente e malinconica insieme.

lunedì 5 maggio 2014

l'amore è una cosa strana


Dico subito che quest'anno il Tglff (o almeno quello che sono riuscito a vedere) non mi ha dato grandi soddisfazioni. Però c'è un film che dovete assolutamente recuperare: già passato a Toronto e alla Berlinale (lì non riuscii a incastrarlo in nessun modo), senza nessuna previsione d'essere distribuito in Italia (però sarebbe perfetto per laeffe), è un documentario, si chiama The dog ed è una figata. Vi ricordate Quel pomeriggio di un giorno da cani? Al Pacino, Sidney Lumet? Ecco, quella era la versione romanzata. The dog racconta, attraverso spezzoni d'epoca e interviste ai protagonisti della vicenda, la vera storia di John Wojtowicz, l'assurdo, iperegocentrico, sessuomane, spassoso, detestabile fuori di testa che decise di rapinare una banca per realizzare il sogno della sua compagna trans: operarsi per diventare una donna in tutto e per tutto. E lo racconta nel corso di dieci anni: da quando la coppia di registi, Allison Berg e Frank Keraudren, folgorata dal film di Lumet, decise di iniziare a intervistare Wojtowicz, fino alla morte di quest'ultimo per un tumore. Una storia complessa, dove non si sa mai bene dove stia la verità e quanto sia vera, ma intensa, forte, divertente, commovente: vedi il rapporto tra John e il fratello ritardato, i racconti della madre, l'orrido programma tv con ospite Liz Eden ormai donna.

venerdì 2 maggio 2014

east but almost least: ye


Terzo appuntamento con il cinema orientale da evitare. Stavolta l’invito è principalmente rivolto a chi sarà domenica a Torino per il Tglff e si facesse venire voglia di vedere Ye, ennesimo cinese (ma senza pollo funghi e bambù) che io ho già visto al Festival di Berlino. In un angolo di città notturna, molto notturna (pure troppo), battono Tuberose, prostituta alle prime armi, e Narcissus, bisex innamorato di se stesso. A irrompere nella routine dei due, arriva Rose, un povero illuso che si innamora di Narcissus. Opera prima del ventunenne Zhou Hao, che ne è anche protagonista, è un saggio da scuola di cinema e si vede: pretenzioso nella forma e nella sostanza. Jean Genet e Wong Kar-wai sono stati non si sa perché scomodati da qualche recensione. Se almeno ci fosse un po’ di sesso…